Dopo vari approfondimenti sulla pittura del XVII e del XVIII secolo, il nostro blog si apre alla scultura con un post di Vincenzo Pernice dedicato alla fortuna di Gian Lorenzo Bernini tra Otto e Novecento, attraverso alcuni episodi e voci significative, anticipatrici del più ampio risveglio dell’interesse per il Barocco nei decenni successivi.

Nel corso dei nostri appuntamenti settimanali, abbiamo più volte fatto riferimento alla Mostra della pittura italiana del Seicento e del Settecento allestita a Palazzo Pitti nel 1922 come punto di partenza per la fortuna del Barocco nel XX secolo. Spostando l’attenzione dai dipinti alla scultura, oggi ripercorreremo un caso altrettanto rilevante, sia per la statura del protagonista, sia per la cronologia degli eventi.

Commemorazione di Bernini

Commemorazione di Gian Lorenzo Bernini a Roma (particolare), in Il Secolo illustrato, 14 dicembre 1898

Piazza di Spagna

Roma, Piazza di Spagna in una fotografia d’epoca

“Ma che ardor di passione!”

Può stupire, ma nell’Ottocento una certa parte di storiografia considerava Gian Lorenzo Bernini quasi sinonimo di cattivo gusto: pomposo, eccessivo, sensuale. In contrasto a tali opinioni si levarono le voci di alcuni scrittori decadenti. Nel romanzo Il Piacere (1889) di Gabriele d’Annunzio, la “Roma dei Papi” sovrasta in bellezza la “Roma dei Cesari”. Piazza di Spagna, con la sua Barcaccia “carica di diamanti”, costituisce una delle ambientazioni ricorrenti per la dolce vita di personaggi languidi e sofisticati. Il protagonista Andrea Sperelli ammira estasiato le fontane di Bernini, in cima quella del Tritone, e proprio allo scultore vorrebbe dedicare “un grande studio di decadenza”. Il romanzo riscuote successo, esercitando un’influenza notevole sull’immaginario collettivo.

Qualche anno dopo, nel 1894, Firenze ospita la conferenza Barocchismo tenuta da Enrico Nencioni, poeta e studioso di letteratura italiana e inglese, nonché amico di d’Annunzio. Il suo intervento formalizza molte delle argomentazioni in nuce nel Piacere. Infatti, pur riconoscendo la “stravaganza” e il “ridicolo” di certe espressioni del Barocco, Nencioni invita a osservare il fenomeno per le sue innovazioni. Bernini ne è l’esempio perfetto, a cominciare dalla sua scultura allora più controversa: “Ma che ardor di passione in questa Santa Teresa!”, ella “non è una santa del Medio Evo, ma una gran dama devota del secolo XVII”. La sensualità rimproverata dai commentatori precedenti diventa un valore agli occhi di un intellettuale pronto a interpretare “la ricerca del nuovo” come segno di modernità.

Convinti gli scrittori decadenti, bisognava persuadere gli addetti ai lavori. Il terreno, per fortuna, è pronto per iniziative istituzionali. Il 7 dicembre 1898, lo scultore Ettore Ferrari svela al pubblico una lapide commemorativa sulla facciata di un edificio di via della Mercede a Roma. Il busto di Bernini è accompagnato dalla seguente iscrizione:

QUI VISSE E MORÌ GIANLORENZO BERNINI SOVRANO DELL’ARTE AL QUALE SI CHINARONO REVERENTI PAPI, PRINCIPI, POPOLI.
IL COMITATO PER LE ONORANZE CENTENARIE COL CONCORSO DEL COMUNE POSE VII DIC MDCCCXCVIII.

L’occasione per inaugurare il monumento, modellato sul ritratto di Giovanni Battista Santoni, è il terzo centenario dalla nascita di Gian Lorenzo, il quale diviene oggetto di un acceso interesse grazie alle onoranze del 1898 coordinate dallo stesso Ferrari, un politico dalle spiccate doti organizzative oltre che autore di numerose statue pubbliche.

Ettore Ferrari, Monumento a Bernini

E. Ferrari, Busto e targa in memoria di Gian Lorenzo Bernini (particolare), 1898, Palazzo Bernini, Roma

Interno della Chiesa di Santa Maria della Vittoria, Roma

Il centenario del 1898 e oltre

Il centenario si articola in varie iniziative, alle quali collaborano storici dell’arte del calibro di Corrado Ricci e Adolfo Venturi. Dalle prolusioni, dagli articoli a stampa, soprattutto dalla cerimonia solenne ospitata nella Sala degli Orazi e dei Curiazi dei Musei Capitolini, emerge il ritratto di un Bernini non sensuale-decadente (immagine poco consona per le istituzioni), bensì eroe nazionale, artefice dell’identità stilistica della Roma moderna, la cui vicenda biografica incrocia anche l’ex capitale Firenze e la Napoli capitale del Sud. Figlie della retorica risorgimentale, le onoranze hanno il merito di spianare la strada alle prime ricognizioni scientifiche degli anni immediatamente successivi.

Nel 1899 ha luogo l’Esposizione berniniana. La location è ancora la Sala degli Orazi e dei Curiazi, già sede della grande statua di Urbano VIII realizzata dallo scultore tra il 1635 e il 1640. La mostra ospita disegni, bozzetti e busti provenienti da collezioni pubbliche e private, con una predilezione per le opere di soggetto profano. Presenti numerosi scatti di architetture e sculture, frutto di nuove campagne fotografiche. Nonostante i commenti negativi, l’Esposizione fa conoscere l’artista a un vasto pubblico, grazie anche alla significativa copertura giornalistica e alle cartoline immesse in commercio.

Esposizione berniniana

L’esposizione berniniana a Roma, in Il Secolo illustrato, 4 maggio 1899

Stanislao Fraschetti, Il Bernini

S. Fraschetti, Il Bernini. La sua vita, la sua opera, il suo tempo, 1900

L’anno seguente il sogno di Sperelli si avvera, forse. Esce la prima monografia moderna: Il Bernini. La sua vita, la sua opera, il suo tempo di Stanislao Fraschetti, con prefazione di Venturi. Si tratta di un volume rilevante per impostazione e metodo. Fraschetti attinge a due fonti pressoché coeve all’artista, la Vita di Filippo Baldinucci (1682) e la Vita di Domenico Bernini (1713), figlio di Gian Lorenzo, integrate da documenti d’archivio e da un robusto apparato iconografico: decine di fotografie e disegni illustrano le oltre 400 pagine dell’edizione Hoepli. Così la disamina di uno dei protagonisti del Barocco è al contempo un banco di prova metodologico per la disciplina storico-artistica, proprio allora in costruzione. Altro che “grande studio di decadenza”!

Un maestro per la scultura contemporanea

Il recupero critico degli artisti del Seicento ha avuto un’influenza enorme sulla cultura figurativa contemporanea. Lo abbiamo visto con Caravaggio. Nel caso di Bernini, è interessante segnalare un’opera realizzata da Adolfo Wildt nel dicembre 1926, un marmo raffigurante il volto di Santa Lucia. La scultura fu esposta in varie occasioni, fino ad approdare alla prima Quadriennale del 1931. Molti commentatori notarono il riferimento all’Estasi di Santa Teresa in Santa Maria della Vittoria, tra questi Adolfo Pallucchini, il quale osservò:

Wildt tenta la pura follia stilistica, tanto egli domina il marmo fino ad irriderlo ed a costringerlo all’assurdità. In Bernini la virtuosità tecnica era soggiogata ad un’interiorità lanciata verso l’indefinito della fantasia. Quale aderenza tra la passionalità bruciante di Santa Teresa ed il felicissimo gioco del marmo! In una santa di Wildt (Santa Lucia), l’incanto dell’equilibrio vien meno; la virtuosità è giunta ad un insospettato edonismo plastico, dissolvendo il contenuto dell’opera.

Bernini e Wildt

A sinistra: calco da G.L. Bernini, Estasi di Santa Teresa, XX secolo | A destra: A. Wildt, Santa Lucia, 1926, Musei civici, Forlì

Da epitome del cattivo gusto, Bernini diventa un maestro per gli scultori contemporanei, fino a costituire un modello di equilibrio tra forma e contenuto per la critica novecentesca. È la rivincita di un artista la cui importanza per la storia nazionale non confligge più con la sensualità delle sue figure, e i cui virtuosismi, incompresi per più di un secolo, sono finalmente apprezzati anche in conseguenza della profonda revisione del canone intercorsa nei primi decenni del Novecento.