Il blog Barocca-mente prosegue con il racconto di uno dei momenti cruciali per la fortuna del Barocco nel Novecento e per il nostro progetto Quale Barocco?: la Mostra della pittura italiana del Seicento e del Settecento allestita a Firenze nel 1922.

L’ora del Barocco

L’ora di avvio della fortuna del Barocco scocca in Italia esattamente cento anni fa, nella primavera del 1922, quando a Firenze si inaugura la Mostra della pittura italiana del Seicento e del Settecento.

Curatore scientifico, regista, promotore, comunicatore di una delle più imponenti macchine espositive dell’Italia unita dopo la Mostra del Ritratto Italiano, allestita, sempre a Firenze, nel 1911, è Ugo Ojetti, una delle personalità più influenti, e ingombranti, della politica culturale nazionale negli anni tra le due guerre.

“Si tratta di mettere ordine, presso a poco, in un caos. Tra gli studiosi d’arte questo lavoro di cercare le famiglie spirituali dell’arte del barocco e i loro stipiti è cominciato da quindici o vent’anni: ma ancora non è apparso davanti al gran pubblico, in modo che questo ne resti convinto e se ne ricordi”

Scrive Ojetti nel febbraio del 1922 preannunciando l’esposizione sulle pagine del Corriere della Sera.

Il manifesto della mostra del 1922

Scenografia, grande pubblico e nuovi protagonisti

Una mostra sulla cultura figurativa dell’età barocca non era un’operazione scontata in quegli anni: sul palcoscenico dell’attenzione del grande pubblico il Seicento non godeva di una buona reputazione e neppure tra gli addetti ai lavori c’era concordanza di visioni. In quello stesso anno Giorgio De Chirico aveva scatenato tra i critici e gli artisti una veemente polemica sulla “mania del Seicento”, giudicato un secolo affettato e decadente, in balia dei capricci e delle brame commerciali degli antiquari, e gli studi che già da qualche tempo tornavano a concentrarsi sulla cultura artistica di quel periodo non avevano ancora fatto breccia se non nei confini del dibattito disciplinare.

La scommessa era dunque quella di rivolgersi ad un pubblico vasto e la mostra mise in moto un meccanismo monumentale di comunicazione e organizzazione che coinvolse una delle residenze appena devolute dalla corona allo stato italiano e fino a quel momento mai aperte al pubblico: la reggia di Palazzo Pitti, una scenografia perfetta per i temi su cui si incentrava l’esposizione.

Qualche dato: 48 sale, 1054 opere esposte, un’imponente campagna pubblicitaria rivolta al grande pubblico tramite manifesti, articoli sui quotidiani e sui rotocalchi della domenica, sconti ferroviari, riduzioni, concerti di musica barocca organizzati nei Giardini di Boboli. Al prezzo di 2 lire e 50 centesimi più di 140.000 visitatori si avventurano per le sale di Palazzo Pitti, con una media giornaliera di circa mille accessi.

Punto focale della mostra era la Sala delle Nicchie dove campeggiavano le opere di Michelangelo Merisi da Caravaggio, ancora ben lontano dall’apice di attenzioni che oggi pubblico e studiosi gli dedicano in maniera quasi esclusiva. Oltre alle opere di Santa Maria del Popolo e ai prestiti dai musei italiani, i visitatori poterono osservare da vicino, evento mai più ripetuto in una mostra, le tele della Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi, che vennero appositamente restaurate.

La sala con le opere di Caravaggio in una foto dell’Illustrazione italiana

Identità ed eredità

La mostra chiude i battenti il 6 novembre 1922, nove giorni dopo la marcia su Roma, in un clima politico ormai denso di incertezze che gravano sul futuro della nazione e, irrimediabilmente, il racconto del Barocco, di una stagione che consentiva di collegare senza soluzione di continuità i fasti dell’antico, il Rinascimento e la contemporaneità, diventa un racconto di identità politica che si colorerà di autarchia nell’Italia del fascismo.

Grande merito della mostra fu quello di aver inaugurato una nuova stagione di studi e di aver avviato la diffusione delle opere dei Sei e Settecento anche al di fuori dei confini nazionali.

Studiare le scelte dei curatori e dei comitati regionali, gli accostamenti delle opere distribuite nelle sale di Palazzo Pitti, la ricorrenza delle selezioni per i dipinti maggiormente illustrati nei cataloghi e nelle pubblicazioni, ci restituisce una vivida fotografia di quello che era l’immaginario visivo del Barocco agli esordi del secolo e ci consente un confronto con quella che oggi ne è la nostra considerazione.

È il punto di avvio del nostro progetto, che, insieme alle attività dei borsisti che abbiamo già presentato, ha organizzato un laboratorio con la Fondazione 1563 per l’Arte e la Cultura della Compagnia di San Paolo e gli studenti del corso di laurea in Storia dell’Arte del Dipartimento di Studi Storici dell’Università degli Studi di Torino per smontare e riaggregare tutte le informazioni che ancora la mostra del 1922 ci può regalare. Nelle prossime puntate il racconto della piattaforma digitale che creerà un inedito spazio di condivisione dei dati.