Il protagonista del post di Barocca-mente di oggi è il Palazzo Cinese della Reggia di Oranienbaum, uno dei più rinomati monumenti dell’allievo di Luigi Vanvitelli, Antonio Rinaldi. Situato nei pressi di San Pietroburgo, esso rappresenta un insieme di architettura barocca, decorazioni cinesi e classiche, con interni sfarzosamente arredati con boiserie e soffitti dipinti con iconografie orientali, realizzate da una moltitudine di maestri italiani, tra cui Giambattista Tiepolo.

Insieme a Bella Takushinova, scopriamo la storia di questo gioiello architettonico e artistico giunto fino a noi in condizioni pressoché inalterate.

Chinoiserie: passione barocca e rococò

La storia della Reggia di Oranienbaum, situata a 50 chilometri a ovest di San Pietroburgo, risale al primo decennio del XVIII secolo. Il complesso nacque sotto il regno di Pietro il Grande (1672-1725) come abitazione privata di un influente cortigiano, prima di diventare una delle residenze più amate dagli zar nel primo Settecento. Sono gli anni che videro la diffusione del gusto per le chinoiserie. Già ai tempi di Pietro si inaugurarono i primi gabinetti con lacche in tecnica japanning, chiamata a imitare le raffinate laccature dell’Asia orientale. Le residenze dei facoltosi cortigiani venivano abbellite con carta da parati in seta dipinta cinese, la tradizionale porcellana bianca e blu divenne simbolo dell’elevato status politico e sociale delle famiglie più influenti dello Stato. Lo zar stesso organizzò più spedizioni in Cina e le merci cinesi si diffusero ben presto sul mercato del suo vasto impero.

Tuttavia, fu Caterina la Grande (1729-1796) a dare il via al Palazzo Cinese, costruito presso la reggia tra il 1762 e il 1768. Perché proprio lei?

Reggia di Oranienbaum

Palazzo Cinese

Palazzo Cinese della Reggia di Oranienbaum

Nata Sofia Federica Augusta di Anhalt-Zerbst, la giovane principessa prussiana crebbe a pochi chilometri dal Palazzo di Oranienbaum, costruito nell’ultimo ventennio del Seicento ad Anhalt per volere della principessa Luisa Enrichetta d’Orange (1627-1667). Questa residenza barocca, sicuramente più volte visitata dalla futura zarina, ospitava il magnifico primo gabinetto cinese d’Europa. Inoltre, come molte persone colte dell’epoca, Caterina era affascinata dalle idee dell’Illuminismo e si interessava alla Cina anche nell’ottica di creare un’immagine di sé quale sovrana ideale. Ammiratrice dell’Essai sur les moeurs et l’esprit des nations (1756) del suo corrispondente Voltaire, l’imperatrice veniva puntualmente informata dalla fitta rete dei suoi agenti artistici in Europa sulla moda delle chinoiserie che si andava sempre più diffondendo in Europa. Non sfuggirono alla sua attenzione il Palazzo di Sanssouci, celebre residenza del re di Prussia, nonché il famoso salottino di porcellana allestito per moglie di Carlo III di Borbone, Maria Amalia di Sassonia, nel 1759 presso la piccola Reggia di Portici, vicino a Napoli.

«Virtuoso et umile» allievo di Vanvitelli

La fortuna della carriera di uno degli allievi più dotati di Luigi Vanvitelli (1700-1773), Antonio Rinaldi (1709-1794), è in gran parte dovuta al suo trentennale soggiorno in Russia, dove giunse nell’estate del 1751. Dopo una serie di committenze private, si trasferì a San Pietroburgo nel 1754 e dal 1760 lo troviamo a lavorare nella Reggia di Oranienbaum, allora residenza dei futuri imperatori Pietro III e Caterina II.

In quegli stessi anni Vanvitelli scriveva al fratello Urbano a proposito della visita di un’aristocratica pietroburghese:

Una principessa russa [in visita a Caserta] mi domandò dove aveo studiato, se avevo dei Scolari. Risposi, in Roma; ed alla seconda, che ne aveo molti, uno de quali era a Pietroburgo. Non sarebbe Rinaldi? Sì, gli risposi. Oh, ne ho gusto; spesso lo voglio in mia conversazione, gli voglio bene e lo proteggo. Qui parimente presi a recomandarglielo e la pregai a volergli serbare di continuo la sua protezione, essendo abile, virtuoso et umile ne suoi costumi.

Antonio Rinaldi

Fedot Ivanovič Šubin, Ritratto di Antonio Rinaldi, 1782, Reggia di Gatčina

Oltre ai numerosi interventi sugli altri elementi architettonici dell’enorme ensemble della reggia, Rinaldi fu l’autore dei due edifici più originali del complesso, ovvero il Padiglione della Montagna Scivolante (una costruzione dotata di una montagnola artificiale per effettuare discese sbalorditive con slitte in inverno e in appositi carrozzini d’estate), nonché il già citato Palazzo Cinese.

Padiglione della Montagna Scivolante della Reggia di Oranienbaum e il suo modello ligneo (la montagnola artificiale fu demolita nel corso del XIX secolo)

Le 17 sale di quest’ultimo furono progettate dall’architetto nell’ormai diffuso “stile cinese”. L’effetto armonioso fu creato attraverso l’utilizzo di raccordi curvi tra pareti e soffitti: boiserie ed elaborati apparati rocaille, quali agrifogli, medaglioni ovali, ghirlande di stucco, nonché 772 metri quadri di parquettes incastonate con i fantasiosi disegni di Rinaldi, e con la presenza di numerosi oggetti di autentica arte cinese. Tra le principali “celebrità” della decorazione interna, un posto prioritario spetta al rinomato Gabinetto delle perline di vetro: uno spazio decorato con dodici pannelli eseguiti su disegni di Serafino Barozzi (ca. 1735-1810) e ricamati con fili di seta e più di 2 milioni di perline di vetro color perla. Essi raffigurano uccelli fantastici, piante, farfalle svolazzanti racchiusi in cornici intagliate dorate che imitano tronchi d’albero ricoperti di foglie, fiori e grappoli d’uva; iconografie immancabilmente evocative dell’immagine esotica della Cina nell’immaginario settecentesco.

Interni del Palazzo Cinese della Reggia di Oranienbaum

Gabinetto delle perline di vetro

Antonio Rinaldi, Serafino Barozzi, Gabinetto delle perline di vetro, Palazzo Cinese, Reggia di Oranienbaum

Non solo Rinaldi

Stefano Torelli, Il trionfo di Venere e Selene ed Endimione, Palazzo Cinese, Reggia di Oranienbaum

Il Palazzo Cinese di Oranienbaum è l’unica residenza settecentesca in Russia ad aver conservato un numero straordinario di opere italiane. Così nel “salottino lilla” troviamo Venere e Adone di Pietro Rotari (1707-1762) e Angelica e Medoro di Giambettino Cignaroli (1706-1770), entrambi allievi di Antonio Balestra (1666-1740) e che, prima del rientro nella città scaligera, ebbero modo di formarsi a Venezia, studiando Veronese e Tiziano. Cignaroli non soggiornò mai in Russia, al contrario di Rotari e di un altro protagonista del salotto in questione: Stefano Torelli (1712-1784), originario di Bologna e sostituto, in qualità di pittore di corte pietroburghese, dello scomparso Rotari. Tra le sue opere nel Palazzo Cinese troviamo Marte, Venere, Il giorno che scaccia la notte e Selene ed Endimione; quest’ultima, senz’altro, uno dei migliori esempi della matura produzione torelliana. Un’altra sua tela si trova nella Sala delle Muse e raffigura Il trionfo di Venere. Vi è poi Orfeo che saluta il sole del veneziano Francesco Zugno (1709-1787), allievo di Giambattista Tiepolo (1696-1770), fortemente influenzato da Sebastiano Ricci (1659-1734), e Urania che insegna a un giovane di Domenico Maggiotto (1712-1794), anch’egli veneziano nonché allievo di Giovanni Battista Piazzetta (1683-1754).

Il soffitto del boudoir della zarina è decorato con Psiche e Flora di Jacopo Guarana (1720-1808), formatosi nella città lagunare e autore degli affreschi di Ca’ Rezzonico; il gabinetto di Paolo, a sua volta, ospita un’Allegoria della Geometria di Gaspare Diziani (1689-1767), un bellunese anch’egli formatosi a Venezia. Un’altra opera allegorica di Diziani, La Fortuna che allontana la Gelosia, decora il soffitto del citato Gabinetto delle perline di vetro. Tra le opere più note del palazzo vi è l’Unione tra Europa e Asia di Serafino Barozzi sulla volta del Gran gabinetto cinese, nonché un tavolo in pietre dure, ispirato alle “cineserie”, su disegno dell’orafo e mosaicista Jacopo Martino (1716-1793).

Serafino Barozzi, Unione tra Europa e Asia, Palazzo Cinese, Reggia di Oranienbaum

Jacopo Guarana, Sacrificio cinese, Palazzo Cinese, Reggia di Oranienbaum

Infine, la cosiddetta “Sala grande” conservava un Marte al riposo di Giambattista Tiepolo, andata perduta nel primo Novecento.

Questi sono solo alcuni esempi dei tesori “italiani” che ospita il (relativamente) piccolo palazzo.

1946: risollevare il morale

Oltre all’indiscutibile valore artistico del sito in esame, di cui abbiamo ricostruito solo un’immagine a volo d’uccello, altrettanto importante è stata la sua fortuna novecentesca. La Reggia di Oranienbaum fu il primo museo in Russia ad aprire le porte al pubblico dopo i disastri della Seconda guerra mondiale. A cosa si dovette tale ruolo? A differenza della stragrande maggioranza delle residenze pietroburghesi, l’Oranienbaum non diventò teatro di eventi bellici e molte delle sue opere artistiche, tra cui i pennelli del Gabinetto di perline di vetro e le tele degli artisti citati, erano state trasportate nei rifugi già nel 1941. Ciononostante, il monumento subì danni significativi durante gli anni della guerra dovuti al totale abbandono e all’umidità.

Nel 1945, nell’immediato dopoguerra, furono avviati i lavori di conservazione e restauro che permisero di ripristinare, seppur parzialmente, l’antico lustro della reggia e del Palazzo Cinese. Il desiderio di risollevare il morale dei cittadini di Leningrado, una città che aveva vissuto un periodo particolarmente tragico durante gli anni del Secondo conflitto mondiale, fece sì che l’équipe dei restauratori, guidata dall’architetto Ivan Varakin, riuscisse a completare i lavori prima del previsto e il 27 giugno 1946 la reggia era pronta a ricevere i primi visitatori.

Palazzo Cinese nel primo decennio del XX secolo

Gabinetto delle perline di vetro del Palazzo Cinese durante i lavori di restauro del 1946 e la sua foto del 1957

Ma il suo “momento d’oro” il Palazzo Cinese di Oranienbaum – definito dal pittore e storico dell’arte Igor’ Grabar’ “un vero miracolo, pieno di meraviglie settecentesche” – l’ha vissuto con i restauri del nostro secolo.

Per quanto riguardo l’architetto, la sua attività è stata oggetto di un attento studio di Giulietta Kjučarianc (1917-2009), autrice della prima monografia su Rinaldi pubblicata nel 1976 e la cui versione ampliata è stata poi ristampata nel 1984.

In Italia, tuttavia, il brillante allievo di Vanvitelli ha cominciato solo di recente ad attirare la giusta attenzione degli studiosi, soprattutto grazie agli studi di Alfredo Buccaro, che nella sua pubblicazione del 2003 lo colloca “al centro di quella fase di passaggio che fu il cosiddetto ‘rivolgimento al Classicismo’, ricco di spunti tratti dalla tradizione architettonica russa e dalla contemporanea arte tardobarocca europea, in uno stile originale rivolto verso la ricerca compositiva che sarà tipica, di lì a poco, del pieno Neoclassicismo”.

Pubblicazioni di Giulietta Kjučarianc (1976) e Alfredo Buccaro (2003) su Antonio Rinaldi