Dopo il post su de Chirico neobarocco, ecco un nuovo approfondimento dedicato alla fortuna del Seicento nella produzione artistica del secolo scorso. Ce ne parla Vincenzo Pernice.

Picasso primitivo, cubista, surrealista, ma anche neoclassico, pompeiano e magari… barocco? Delle tante fasi attraversate dal pittore più famoso del Novecento, nessuna sembra essere scaturita direttamente dal XVII secolo. Ciononostante il maestro di Malaga ha dimostrato più volte di apprezzare la tecnica e l’adesione alla realtà di artisti quali Zurbarán e Velázquez, al punto da trarne ispirazione in diversi momenti della carriera, raccontandoci così della fortuna del Seicento, soprattutto quello spagnolo.

A lungo ritenuto, in Italia, unetà di decadenza, viceversa la Spagna ha sempre valorizzato il suo Siglo de oro come un periodo di consolidamento dell’identità nazionale. Logico, allora, per l’artefice di Guernica (1937), un confronto con le proprie radici: un modo per rimarcare, dalla Francia dove ha quasi sempre vissuto, il rapporto con la patria, considerata nel momento di massimo splendore.

Picasso a Cannes, 1957

Pablo Picasso, Jaqueline Roque e il bassotto Lump a Villa La Californie, Cannes, 1957

Picasso, Natura morta spagnola, 1912

Pablo Picasso, Natura morta spagnola, 1912, collezione privata

Eredità del Siglo de oro

Anche l’avanguardia ha le sue fonti. Piuttosto scettico nei confronti di manifesti e dichiarazioni di poetica, Pablo ha reso noti i suoi riferimenti pittorici attraverso numerosi esercizi che vanno dalla copia al rifacimento. Se gli omaggi a Gustave Courbet, Eugène Delacroix, Édouard Manet si configurano come passaggi obbligati per gli artisti di inizio Novecento, gli studi da Poussin e Rembrandt sono invece indizio di una ricerca a ritroso delle fonti della modernità. Ma il repertorio seicentesco è anzitutto spagnolo.

Da tempo, la critica ha individuato in Francisco de Zurbarán uno degli antecedenti per lo sviluppo del cubismo, specie per le nature morte. Nel conferire dignità artistica a soggetti umili o addirittura infimi, il genere bodegón (scene di taverna, cucina, mercato) compie una rivoluzione dello sguardo che ha affascinato Juan Gris e Picasso nell’applicazione della tecnica cubista, sempre e comunque in relazione alla realtà sensibile. Pittore di cose, come amava definirsi (celeberrima l’affermazione “L’arte astratta non esiste”), Pablo mostra una conoscenza approfondita del realismo spagnolo, omaggiato esplicitamente in varie occasioni.

La mostra Cara a cara. Picasso y los maestros antiguos, tenuta quest’anno al Museo Picasso di Malaga, ha dato la possibilità ai visitatori di prendere visione di accostamenti puntuali con i capolavori di El Greco, Francisco Pacheco, Giovanni Battista Caracciolo, Francisco de Zurbarán, Cornelius Norbertus Gijsbretchs, Bernardo Lorente Germán, Diego Bejarano.

Cara a cara. Picasso y los maestros antiguos

Una sala della mostra Cara a cara. Picasso y los maestros antiguos, Museo Picasso, Malaga, 22 febbraio-26 giugno 2022

Sfida a Velázquez

Merita un discorso a parte il confronto con Diego Velázquez. Tra l’agosto e il dicembre 1957, nella Villa La Californie a Cannes, Picasso lavora a un ciclo di 58 dipinti dedicati a Las Meninas (1656). La suite include 44 tele direttamente ispirate al capolavoro conservato al Museo del Prado, più altre composizioni realizzate nello stesso periodo (tra cui piccioni, paesaggi e un ritratto della compagna Jacqueline). Il ciclo è reso noto attraverso una mostra allestita nel 1959 alla Galerie Louise Leiris di Parigi, con annesso catalogo. Nel 1968, l’artista dona l’intera serie al Museo Picasso di Barcellona, in onore all’amico e collaboratore Jaume Sabartés, morto nello stesso anno. Ancora oggi, i visitatori possono ammirare tutte le tele nelle sale 12, 13 e 14.

Museo Picasso, Barcellona, sala 14

Museo Picasso, Barcellona, sala 14

Proprio a Sabartés, Pablo aveva rilasciato una dichiarazione riportata nel volume L’atelier de Picasso (1952), imprescindibile per l’analisi del ciclo:

Immaginiamo che qualcuno provi a copiare Las Meninas in completa buona fede, e per esempio arrivasse fino a un certo punto. Se fossi io il copista direi a me stesso: “e se mettessi questo un po’ più a destra o a sinistra?”. Cercherei di farlo a modo mio, dimenticando Velázquez. La sfida mi farebbe sicuramente modificare o cambiare la luce, avendo già cambiato la posizione di un personaggio. Così, a poco a poco, dipingerei delle Meninas che a un puro copista sembrerebbero detestabili: non sarebbero ciò che credeva di vedere sulla tela di Velázquez, ma sarebbero le mie Meninas.

Non mera copia, dunque, bensì esercizio di stile che sottende una meditazione sulla percezione del visibile.

Diego Velázquez, Las Meninas, 1656, Museo del Prado, Madrid

Modernità del Seicento

Sebbene sia possibile soffermarsi sui singoli dipinti, il ciclo de Las Meninas, in quanto tale, andrebbe interpretato nel suo insieme. Le tele sono accomunate dallo stile adoperato in Guernica, noto secondo varie denominazioni, da neocubista a espressionista. L’artista adotta prospettive multiple, stravolge i connotati dei soggetti, sintetizza le forme dei volumi, altera il cromatismo di Velázquez. Alcuni quadri reinterpretano la scena nel suo insieme, altri isolano singole figure (l’Infanta). Picasso gioca con i membri della corte di Filippo IV alla stregua di pezzi di puzzle, spostandoli a piacimento secondo combinazioni arbitrarie, pur nel rispetto, a grandi linee, della loro iconografia, senza il quale risulterebbero privi di immediatezza e riconoscibilità. Con una sola eccezione: il mastino del re è sostituito da Lump, il bassotto allora recentemente adottato da Pablo, unico ammesso, pare, nello studio dell’artista all’opera.

Nel reinterpretare drasticamente, dal punto di vista formale, il capolavoro seicentesco, Picasso mostra però di coglierne l’essenza più profonda. L’originale, è noto, ha dato vita a svariate interpretazioni. Si è concordi, tuttavia, nel considerarlo una riflessione sul visibile, sull’apparenza e quindi sull’arte stessa: gli sguardi puntati verso l’osservatore, la presenza dello specchio riflettente e dell’autoritratto di Velázquez sono indizi inequivocabili della volontà, da parte dell’autore, di spingere a interrogarsi sul significato della scena e sul momento della creazione artistica. Esaminando in fila i 58 dipinti componenti il ciclo, il pubblico de Las Meninas di Picasso può dunque provare a immaginare, di volta in volta, la posizione dell’occhio dell’artista muoversi freneticamente da un punto all’altro dell’originale.

Osservare Velázquez attraverso Picasso significa senz’altro essere testimoni di un incontro tra due personalità eccezionali, ma permette anche, di riflesso, di soffermarsi su un momento in cui gli artisti e la critica approfondivano la modernità e l’attualità del Seicento, accostato al Novecento in via di una analoga propensione a problematizzare la rappresentazione del reale. Un riferimento prezioso per il secolo della relatività e delle guerre mondiali.

Picasso, Las Meninas, 1957

Pablo Picasso, Las Meninas, 1957, Museo Picasso, Barcellona

Pablo Picasso, Las Meninas, 1957, Museo Picasso, Barcellona