Seguendo il filo del racconto intessuto da Margherita Nugent in due volumi pubblicati nel 1925 e nel 1930, il post di questa settimana del blog Barocca-mente ci porta a passeggio tra le sale di Palazzo Pitti che nel 1922 ospitarono la Mostra della pittura italiana del Seicento e del Settecento.
Una visitatrice attenta
La contessa Margherita Nugent (Firenze 1891 – Trieste 1954) è l’ultima esponente di una nobile famiglia che, nel ramo italiano, risale ai Riario Sforza. Unica erede di numerosi possedimenti e proprietà da Firenze a Trieste, dalla Basilicata alla Croazia, oltre che di un cospicuo nucleo di oggetti preziosi e opere d’arte, alla sua morte decide di destinare tutti i beni alla Provincia di Matera e allo Stato italiano. Di questo ricco patrimonio fa parte anche la considerevole raccolta di monete ora al Gabinetto Numismatico del Museo Archeologico di Firenze: più di mille esemplari, tra i quali spiccano, per consistenza e rilevanza, le monete di casa Savoia. Attentamente classificate, riportano sui cartellini i nomi delle ditte e delle case d’aste italiane e straniere da cui Margherita e il padre, il conte Laval, acquistano nei primi decenni del XX secolo. A quelle date, fine appassionato di numismatica è il re Vittorio Emanuele III, al quale va riconosciuto il merito di aver influenzato, insieme ai Nugent, anche diverse altre famiglie nobili del tempo.
A proposito delle insigni frequentazioni della contessa, nella sua rete di relazioni rientrano anche alcuni dei principali protagonisti della scena storico-artistica italiana e internazionale del tempo, tra cui Bernard Berenson, Roberto Longhi, e i “curatori” della mostra fiorentina del 1922, Ugo Ojetti e Nello Tarchiani.
Margherita Nugent a Irsina, fotografia del Bernard Berenson Archive pubblicata in G. De Sandi, Margherita Nugent “storica dell’arte” del primo Novecento, 2020.
Note e impressioni
Frontespizio del volume edito nel 1925
Frontespizio del volume edito nel 1930
queste note escono senza nessuna pretesa, così come dall’Autrice furono raccolte durante tre mesi nelle quotidiane visite alla Mostra della Pittura Italiana del ‘600 e del ‘700 in Palazzo Pitti; Mostra magnifica, che permise godere di innumerevoli capolavori di un’età sì a lungo mal compresa e calunniata e la cui rivendicazione è dovuta alla sapienza e alla genialità di Uomini pei quali l’Arte è sacerdozio
Discorso di Arduino Colasanti durante la cerimonia inaugurale, fotografia pubblicata nel volume del 1925
Già in occasione della Mostra del Ritratto italiano svoltasi nel 1911 nella stessa Firenze, Margherita stende una serie di appunti che, raccolti in un agile volumetto di un centinaio di pagine, vengono dati alle stampe l’anno seguente. Ma è con Alla mostra della pittura italiana del ‘600 e ‘700. Note e impressioni che l’autrice mette alla prova le proprie conoscenze e le proprie doti di appassionata e critica d’arte. Corredati da un ricchissimo apparato di immagini – da far invidia ai cataloghi ufficiali dell’esposizione –, i due corposi volumi – l’uno di circa 400 pagine e l’altro di quasi 600 – sono dedicati alla memoria del padre, “compagno dilettissimo e guida sicura nelle mie peregrinazioni artistiche”, venuto a mancare nel 1923.
Il primo volume si apre con una fotografia del momento in cui Arduino Colasanti, direttore generale per le Antichità e Belle Arti, pronuncia il discorso inaugurale alla presenza del re, a cui seguono poche sintetiche pagine a cronaca della cerimonia.
La mattina del 20 Aprile 1922 il polso della Vita e il ritmo dell’Arte vibrarono a Palazzo Pitti, almeno per qualche ora, di un medesimo battito
Descrizione, evocazione, celebrazione
Il tono adottato da Margherita è entusiastico, la sua scrittura è basata sulla restituzione visiva e quasi tattile della pittura: ogni dipinto su cui si sofferma la sua attenzione si delinea nella mente del lettore tanto è accuratamente raccontato. In apertura dei capitoli – corrispondenti alle singole sale in cui si articola la mostra – pressoché assidua è la descrizione degli ambienti con i ricchi apparati decorativi: il raso verde chiaro della Sala della Guardia, le “tappezzerie di lampasso su fondo bianco” dello Studio del Re, la Saletta da Pranzo “tutta fiorita di stucchi policromi”, o le pareti rosse incorniciate di azzurro e fiorami gialli della Sala di Ricevimento, per citare solo qualche esempio.
Palazzo Pitti, magnifica reggia ceduta dai sovrani al Demanio, si trasfigura, nel racconto di Nugent, alla presenza della regina Margherita: “Là, in mezzo all’Arte, che rendeva ancor più complete quelle sale, ci mancava qualchecosa, ci mancava il grande sorriso inesauribile della Donna, a cui solo la Reggia può essere casa, ci mancava l’anima regale e gentile, che riducesse a suo naturale ambiente l’Arte di due secoli in quelle sale raccolta, e allo stesso tempo nobilitasse ed intensificasse attorno a sé, quale centro luminoso, la potenza e la bellezza”.
Riproduzione della Sala Verde, già Sala della Guardia
La celebrazione della monarchia si accompagna all’appassionata esaltazione della mostra, lodata nel suo essere la narrazione di una storia nazionale. Di questo atteggiamento ben rende conto il materiale pubblicitario realizzato dalla Società Editrice Toscana, che rivendica come i volumi di Nugent non sono solo “un catalogo ragionato o una guida intelligente” ma delineano “come attraverso una catena di piccole monografie viventi, la genealogia e le diramazioni delle complesse scuole di quel tempo, le quali […] si fondono, per mirabile legge dell’indistruttibile unità di nostra stirpe, in un’unica armonia prettamente nazionale”.
Al passo coi tempi
Molte sono le suggestioni che il lettore può attingere dai due volumi firmati Nugent. Dall’acceso apprezzamento per Francesco Guardi al tiepido giudizio riservato a Pietro da Cortona, il cui “stile decorativo” è rappresentato in mostra dal Sacrificio d’Amore di proprietà Corsini, quadro “pomposo” di un “manierismo orpellato”. Nella logica di tracciare una storia nazionale della pittura priva di soluzioni di continuità, più volte si pone l’accento sul collegamento tra Cinquecento e Seicento, come nel caso dello stesso Berrettini, studioso di Veronese, o di Caravaggio, “ribelle […] continuatore dei Cinquecentisti”, capace di reggere il confronto con le tele di Raffaello e di Tiziano custodite a Palazzo Pitti.
A Merisi sono riservate lodi appassionate: “Artefice possente”, “sommo Maestro”, il suo Amore vittorioso di Berlino è definito “la gioia, l’idolo di questa Mostra”. In questo Nugent si mostra aggiornata e allineata ai nuovi indirizzi di gusto e ricerca. Non a caso si sofferma sul Suonatore di liuto (oggi Suonatore di tiorba, attribuito ad Antiveduto Grammatica) della Galleria Sabauda di Torino per sottolineare come, non senza ragione, l’autografia caravaggesca sia messa in dubbio da più voci.
Appunti di Nugent relativi alla Sala III dedicata a Caravaggio, fotografia pubblicata in De Sandi 2020
Caravaggio, Amor vincit omnia, Berlino, Gemäldegalerie
Sono solo alcuni dei molti spunti di ricerca che questi due volumi offrono allo studio della mostra fiorentina del 1922, studio che dunque non potrà che continuare nel corso del secondo anno del progetto Quale Barocco?.