Giunto al termine dell’esperienza come borsista del Programma Barocco della Fondazione 1563, Vincenzo Pernice ci racconta come è nata e come si è svolta la sua ricerca dedicata agli scritti e alle collezioni di Gabriele d’Annunzio.

Vincenzo Pernice e Gabriele d'Annunzio

Vincenzo con Il solitario studioso (2019), la scultura di Alessandro Verdi all’ingresso della biblioteca e degli archivi del Vittoriale degli Italiani

Vi raccontavo, ormai quasi un anno fa, del mio primo incontro col Barocco e di come l’arte e la letteratura del Seicento abbiano sempre esercitato un grande fascino su di me. Dopo una tesi di dottorato sul Futurismo, speravo, prima o poi, in una buona occasione per cambiare aria, occuparmi di altro. Il destino ha voluto che nell’estate 2021 la Fondazione 1563 bandisse il concorso per l’assegnazione delle prime quattro borse del progetto Quale Barocco?.

Ebbi come un’illuminazione. Neanche il tempo di leggere il titolo completo del bando (Fortuna e ricezione visiva dell’età barocca nelle collezioni e negli allestimenti dei musei europei e americani nel corso del Novecento) e già mi immaginavo negli archivi del Vittoriale degli Italiani. A fare cosa? A cercare risposte. Istintivamente percepivo un nesso tra Gabriele d’Annunzio e il risveglio dell’interesse per il Seicento, quale primo e importante tassello per l’approfondimento del più ampio legame tra Barocco e decadentismo. Se è vero che gli scritti e le collezioni del Vate sono una fonte inestimabile per la storia del gusto, allora, mi dicevo, dovranno pur testimoniare la rinnovata fortuna di Bernini, di Marino, dei tenebrosi…

Dopo un anno di lavoro posso confermare la bontà di quell’intuizione. In attesa di condividere con la comunità di studiosi il frutto delle mie ricerche, sono lieto di anticipare alle lettrici e ai lettori di Barocca-mente qualcosa su Barocco e decadenza.

Accoppiamenti giudiziosi

Accoppiamenti giudiziosi è il titolo di una raccolta di racconti pubblicata da Carlo Emilio Gadda nel 1963. Anch’io sono partito da una serie di abbinamenti (spero) fruttuosi: Novecento e Seicento, Barocco e decadentismo, arte e letteratura. Il riferimento a Gadda non è pretestuoso come potrebbe apparire, giacché l’ingegnere è spesso giudicato uno scrittore “barocco”, pur essendo un uomo del XX secolo.

In effetti, rispetto alla storia dell’arte, l’italianistica si è mostrata molto più spregiudicata nel ricorso alla concezione metastorica di Barocco, quale proposta per esempio da Eugenio d’Ors. Così è consueto, persino nei manuali in uso all’università, vedere il Seicento e il Novecento accostati all’insegna dell’inquietudine, del relativismo, della decadenza. Sono parallelismi leciti se ben argomentati. Dal mio canto, desideravo tornare sulla questione da un altro punto di vista: quello storico piuttosto che metastorico. Così, anziché lavorare sulle comuni affinità di spirito di crociana memoria, ho inteso misurarmi sul terreno della fortuna e circolazione di opere seicentesche nell’Otto-Novecento, con particolare riferimento al movimento culturale noto come decadentismo e al suo massimo esponente in Italia. Il taglio incrociava gli assi metodologici del progetto Quale Barocco?. Anche questo è stato un accoppiamento giudizioso.

Eugenio d'Ors, Lo Barroco

Eugenio d’Ors, Lo Barroco, 1944

Rubens, Le chapeau de paille

Pieter Paul Rubens, Le chapeau de paille (Ritratto di Susanna Lunden?), 1620-29 ca., National gallery, Londra

I piaceri di Roma

Bisognava necessariamente partire dagli scritti dannunziani, di cui ho effettuato uno spoglio completo, alla ricerca delle occorrenze in cui il Vate ha fatto riferimento a opere, autori, aspetti dell’età barocca. Il caso de Il Piacere (1889), romanzo della “Roma dei Papi” ben noto agli storici dell’arte, invogliava a indagare ulteriormente sull’apprezzamento dei secoli XVII-XVIII nell’Italia umbertina e oltre. Prevedibilmente il libro di Sperelli era solo la punta dell’iceberg: c’è tanto altro Barocco nelle poesie, nelle prose, nel teatro dannunziano, senza contare le cronache mondane.

Quest’ultima parte dell’opera di Gabriele è quella che mi ha colpito di più. Scritti d’occasione per battere cassa (la “miserabile fatica quotidiana”), gli articoli giornalistici del giovane Imaginifico ci consegnano un ritratto della Roma di fine Ottocento in cui le dame passeggiano davanti alla Fontana del Tritone sfoggiando cappelli “alla Rubens”, dirette alle aste che bandiscono veri o presunti dipinti d’epoca, magari una delle innumerevoli copie della Crocifissione di Guido Reni in San Lorenzo in Lucina.

Una Capitale languida, insomma, dove la nobiltà e l’alta borghesia proiettano sul Barocco atmosfere da dolce vita. Il “gran sogno” di Sperelli, nonché di d’Annunzio, “era di possedere un palazzo incoronato da Michelangelo e istoriato dai Carracci, come quello Farnese”. Il sospetto che il Vittoriale recasse tracce dell’antica fantasticheria era più che lecito…

Affreschi della galleria di Palazzo Farnese, Roma

In pellegrinaggio al Vittoriale

Studiare le collezioni della Prioria, la casa del Vittoriale degli Italiani abitata dal 1921 al 1938, significa confrontarsi con del materiale a dir poco eterogeneo: antico e moderno, Oriente e Occidente, originale e falso/copia/riproduzione/imitazione. Pur volendosi concentrare solo sugli oggetti di età barocca (e sulle loro riprese), ci si trova prima davanti ad arredi e paramenti liturgici poi a stampe fotografiche, ora a un dipinto d’epoca ora a un calco in gesso, senza contare la nutrita biblioteca di seicentine. La scelta è stata quella di valorizzare questa eterogeneità, nella convinzione che la fortuna del Barocco nel Novecento (epoca della riproducibilità tecnica) passi anche attraverso mobili in stile, pitture di dubbia paternità, riproduzioni da poche lire.

I nomi chiamati in causa al Vittoriale sono altisonanti: Bernini, Rembrandt, Ribera, Watteau. Poco o niente di originale (salvo un Guercino), ma la casa d’artista sul Garda si rivela un banco di prova metodologico decisamente stimolante per quanti interessati a valutare la ricezione del Barocco a inizio Novecento, non soltanto in relazione al collezionismo di dipinti, ma anche e soprattutto alla cultura d’arredo. Sono lontani dallo splendore di Palazzo Farnese, ma alcuni interni della Prioria risultano effettivamente connotati in chiave seicentesca, quasi a ricordare i fasti e il misticismo della Controriforma, accanto ad altri decisamente frivoli e mondani. Barocco e decadenza appunto, negli scritti così come nelle collezioni.

Oratorio dalmata, Vittoriale

Oratorio dalmata, Vittoriale degli Italiani, Gardone Riviera (Bs)

“Non c’è bisogno d’andare in pellegrinaggio al Vittoriale per accorgersi che quei secentisti, dopo tutto, non differivano troppo da noi”. Sono parole di Mario Praz pubblicate nel 1933, espressione di una generazione cresciuta a pane e d’Annunzio nel bel mezzo della questione barocca. Ciò che per loro poteva apparire scontato e istintivo, oggi invece merita e necessita di essere ricostruito. Novant’anni dopo mi è sembrato opportuno andare in pellegrinaggio al Vittoriale per verificare l’esattezza di un parallelismo così spesso riproposto ma, in fondo, mai adeguatamente spiegato. Mi auguro di esserci riuscito.