Artisti, mostre, collezionisti, … sono alcuni degli argomenti affrontati all’interno del blog Barocca-mente. Con il post dedicato alla mostra bolognese del 1959 intitolata Maestri della pittura del Seicento emiliano si vuole dar spazio a un altro aspetto centrale per la riscoperta del Barocco italiano nel XX secolo: gli allestimenti.
La mostra del Seicento emiliano ordinata nel palazzo dell’Archiginnasio bolognese costituisce la seconda tappa di una revisione e rivalutazione critica iniziata con le esposizioni monografiche di Guido Reni e dei Carracci. I Carracci e Reni rappresentano a Bologna le fondamentali premesse della pittura del XVII secolo. La mostra antologica del Seicento emiliano […] ne illustra le conseguenze dirette nell’ambito regionale, così varie e complesse, ma così legate da formare une vera e propria civiltà pittorica.
Così si apre la recensione del critico d’arte Attilio Podestà alla terza Biennale d’Arte Antica, accolta, appunto, nelle sale del palazzo dell’Archiginnasio di Bologna dal 26 aprile al 5 luglio 1959 (per approfondire l’argomento, clicca qui). Nella mostra trovano posto una quarantina di maestri e circa centocinquanta dipinti, in buona parte restaurati per l’occasione. Introdotta – se così si può dire – dalle precedenti biennali bolognesi del 1954 e 1956, dedicate, rispettivamente, a Guido Reni e ai Carracci, la rassegna del ’59 ne rappresenta l’ideale prosecuzione e la punta dell’iceberg di una serie di mostre di ricognizione sulle vicende artistiche del Sei e Settecento.
Guido Cagnacci, Il suicidio di Cleopatra, Vienna, Kunsthistorisches Museum
A lungo trascurate dagli studi, questa serie di esposizioni dedicate alle cosiddette “scuole regionali” trovano il loro punto di avvio nell’ormai pluricitata Mostra della pittura italiana del Seicento e del Settecento tenutasi a Palazzo Pitti nel 1922. È dell’estate del 1959 l’inaugurazione presso la Ca’ Pesaro della grande rassegna dedicata alla pittura veneziana del XVII secolo, preceduta nel 1955 dalla Mostra del Manierismo piemontese e lombardo del Seicento, dall’esposizione genovese del 1947 dedicata alla Pittura del Seicento e Settecento in Liguria e, ancora, dalla Mostra del Barocco Piemontese del 1937. Si tratta di progetti ambiziosi e, soprattutto, coraggiosi, volti a riscoprire e far conoscere artisti poco noti al grande pubblico, ma anche, fino a quel momento, scarsamente o male studiati dagli specialisti, contribuendo a riabilitarne l’importanza nella ricostruzione della storia dell’arte italiana ed europea.
Giuseppe Maria Crespi, Suonatrice di liuto, Boston, Museum of Fine Arts
Una mostra per specialisti
Guidato dal soprintendente bolognese Cesare Gnudi, il lavoro di ricerca e revisione per la mostra bolognese può contare sul prestigioso apporto di un’équipe di studiosi destinati a segnare la storia dell’arte italiana: Francesco Arcangeli, Stefano Bottari, Maurizio Calvesi, Gian Carlo Cavalli, Andrea Emiliani, Carlo Volpe. Come accadrà per l’esposizione dedicata alla pittura veneziana del XVII secolo, la penna di Leonardo Borgese non manca di sottolineare, sulle pagine del Corriere della Sera, il carattere squisitamente specialistico di questo genere di esposizioni. Se da un lato, infatti, esse hanno il merito di ridare adeguata dignità ad artisti ingiustamente dimenticati, innalzandone di conseguenza le valutazioni sul mercato antiquario, dall’altro appaiono riservate a un ristretto pubblico di addetti ai lavori. Lo conferma il catalogo della mostra, che seguendo il medesimo schema adottato per quelli stampati in occasione delle precedenti rassegne corali focalizzate su altre realtà artistiche italiane del Seicento, si presenta come una sorta di bignami, ripartito per artisti, dei quali viene fornita una biografia essenziale seguita dalle schede, più o meno convincenti e più o meno esaustive, delle opere esposte.
Simone Catarini (detto Pesarese), Adorazione dei Magi, Bologna, Quadreria di Palazzo Magnani
Un allestimento sterilizzato?
Credete che il secolo nutra un forte senso religioso e un forte sentimento umano? Può darsi, allora, che l’aver tolto quasi ogni cornice e appeso i quadri contro schermi bianchi non sia un gravissimo male: senso e sentimento potrebbero vincere da soli. Ma se credete che il XVII Secolo consista pure in “magnifica tappezzeria”, in “teatrale finzione”, in “maraviglia”, in “allegoria”, il danno sarà grave, invincibile. Vorrà dire che il Seicento non è stato capito, che è stato tradito, anche criticamente. Senza le cornici, senza la decorazione entro cui fu concepita, questa magnifica tappezzeria perde scopo e unità, perde molto degli stessi effetti pittorici. Togliere dalle cornici i quadri è toglierli dall’”ambiente” e dalla “funzione”, è un minorarli.
Come si evince da queste poche righe, ciò che catalizza l’attenzione e le critiche di Borgese è l’allestimento degli spazi espositivi, giudicati troppo “duri” e “crudi”. Lasciando trapelare una non troppo celata vena nostalgica verso il museo d’ambientazione, l’attacco del giornalista è tutto volto a colpire la moda di esporre i quadri senza cornici, l’uso di pannelli bianchi come quinte e, ancora, la scelta della luce bianca e fredda dell’illuminazione al neon, da cui verrebbe fuori il ritratto di un “Seicento in bianco, “all’inglese”, sterilizzato”.
Non tarda a farsi sentire la reazione degli organizzatori: dalle recensioni di Andrea Emiliani e Hermann Voss, che hanno tutto il sapore di un contrattacco all’articolo di Borgese, fino all’intervento di Giulio Carlo Argan, chiamato a Bologna da Gnudi, che in un servizio sulla mostra trasmesso il 10 giugno 1959 all’interno del programma Rai Arti e scienze – Cronache di Attualità giudica lo spazio espositivo “articolato in modo esemplare”. A suo giudizio, infatti,
le luci permettono di vedere i quadri in tutti i loro valori e la mancanza delle cornici elimina quell’ambientamento che, quando non autentico, falsifica irrimediabilmente il valore delle opere.
Ancora oggi, a distanza di più di sessant’anni, le cose non sono molto cambiate: l’allestimento delle mostre è un nodo problematico, spesso fonte di dibattito. Sicuramente, si tornerà a parlare su questo tema nel corso del secondo anno del progetto Quale Barocco?.