Il 1° dicembre 1956 inaugura a Roma nel Palazzo delle Esposizioni la mostra Seicento Europeo. Aperta fino al 17 febbraio dell’anno seguente, la rassegna manifesta evidenti intenti propagandistici, volti a celebrare l’unità europea, e ben si inscrive in uno dei filoni tematici approfonditi nel blog Barocca-mente, riguardante le mostre novecentesche dedicate al Seicento.
… porre in rilievo l’unità dello spirito europeo nei diversi secoli. Da questa solenne realtà dobbiamo trarre ispirazione per una più stretta unione fra tutti i popoli europei
A distanza di oltre mezzo secolo, suona quasi sarcastica l’apertura della recensione alla mostra sul Seicento Europeo di Hermann Voss, apparsa sulle pagine di Paragone nel maggio del 1957. Trascrivendo “le parole che spiccavano nell’atrio della Mostra in lettere cubitali”, lo storico dell’arte tedesco non manca di evidenziare immediatamente il risultato effettivo di un’esposizione che soddisfaceva solo in piccola parte le aspettative iniziali, e in cui emergevano le “differenze tangibili tra le rappresentanze dei vari paesi”.
La stroncatura di Longhi e la difesa di Venturi
Con quasi quattrocento opere accolte nel Palazzo delle Esposizioni di Roma, la mostra sembra tuttavia incontrare un grande successo commerciale e il favore del pubblico. Stando a quanto registrato da Lionello Venturi in un contributo che ha tutto il sapore di un contrattacco piccato alle valutazioni non proprio benevole espresse da Roberto Longhi nel saggio Antologia alla rovescia apparso sull’Europeo, la mostra registra più di centomila visitatori paganti e la vendita di quasi diecimila copie del catalogo. Ma quello di Venturi è manifestamente un giudizio di parte, giustificato dal ruolo ricoperto dal critico nell’organizzazione della mostra, per la quale assumeva la vicepresidenza del Comitato organizzatore italiano, presieduto da Mario Salmi.
Georges de La Tour, Maddalena penitente, Washington, National Gallery
Una mostra eurocentrista
Voluta dal Consiglio d’Europa e realizzata in collaborazione con il Ministero della Pubblica Istruzione italiano, l’esposizione fa seguito alla rassegna intitolata L’Europe Humaniste, allestita al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles nell’inverno 1954-1955, e a quella dedicata al Manierismo Europeo, tenutasi ad Amsterdam nell’estate del 1955. È il critico d’arte Attilio Podestà a mettere l’accento sugli intenti “di propaganda europeistica, di esaltazione di una presunta unità dell’arte e quindi dello spirito del vecchio continente” di queste manifestazioni e, soprattutto, sulle mancate finalità scientifiche della mostra di Roma. Inoltre, nell’introduzione al catalogo, la Città Eterna viene esplicitamente identificata come sede ideale per una tale iniziativa, essendo stata Roma, per lungo tempo, un importante centro di attrazione per gli artisti stranieri.
Orazio Gentileschi, Riposo durante la fuga in Egitto, Vienna, Kunsthistoriches Museum
Un secolo variegato: tra correnti artistiche e centri europei
Alle ambiziose premesse ben esplicitate nel sottotitolo Realismo, Classicismo e Barocco, apposto a chiarire il desiderio degli organizzatori di schierare “le fondamentali correnti di gusto […] che dominarono in Europa nel Seicento” per restituire il quadro di un secolo artistico variegato e complesso, sembra infatti non corrispondere una altrettanto accurata scelta delle opere.
A tal riguardo, è proprio Longhi a puntualizzare come la scelta del nuovo titolo, in sostituzione di quello ben più limitativo inizialmente proposto (vale a dire Mostra del Barocco), sarebbe legata ad alcune criticità da lui stesso evidenziate. Si tratta, soprattutto, dell’impossibilità di trasportare in un palazzo quegli affreschi e quei grandi gruppi scultorei identificabili come i capolavori del barocco propriamente detto.
Pur avendo il merito di mostrare al pubblico interessanti manufatti di scultura secentesca attraverso l’esposizione di piccoli marmi, bronzetti e pregevoli terrecotte, tra cui spicca il modello del Rio de la Plata realizzato da Bernini per la Fontana dei Quattro Fiumi, la principale pecca della mostra sarebbe quella di non essere riuscita a coordinare, con unità di metodo, il lavoro delle varie sezioni afferenti ai paesi europei coinvolti.
Gian Lorenzo Bernini, Modello per la statua del Rio de la Plata, Venezia, Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro
Senza contare il rifiuto della Spagna franchista, all’epoca ancora fuori dal Consiglio d’Europa, a collaborare concedendo il prestito di opere di sua proprietà.
Lasciando da parte i casi della Germania e l’Inghilterra che, agli occhi degli storici dell’arte di allora, non sembrano poter reggere il confronto con le altre scuole europee secentesche, in questa celebrazione dei diversi centri artistici appaiono quanto mai evidenti gli squilibri tra la selezione dei dipinti olandesi e fiamminghi – dove è palpabile l’assenza delle grandi pale di Rubens e lo spazio insufficiente riservato a Van Dyck e Rembrandt – e la sezione francese che, avvalendosi della curatela di Charles Sterling, a detta di Attilio Podestà e di Hermann Voss compone il panorama più completo e criticamente aggiornato.
Jan Vermeer, Stradina di Delft, Amsterdam, Rijksmuseum
L’Italia e Caravaggio star assolute
La grande protagonista della mostra rimane, tuttavia, l’arte italiana, alla quale, malgrado alcune assenze e qualche défaillance, viene riservato un posto d’onore con l’esibizione di assoluti capolavori di Guido Reni e Orazio Gentileschi, a tal punto che sulle pagine de La Stampa Marziano Bernardi non esiterà ad affermare come Seicento Europeo sia “un titolo assai compromettente”. A sostegno della sua tesi Bernardi porta allora ad esempio il manifesto della mostra,
riproducente uno dei più tipici ‘momenti’ realistici del Caravaggio, il particolare della testa piegata sulla spalla sinistra della Madonna che, reggendo il Bambino, guarda i due pellegrini inginocchiati davanti alla sua nicchia e fervidamente oranti.
L’opera menzionata è la Madonna di Loreto proveniente dalla chiesa romana di Sant’Agostino, e la scelta di questa tela come immagine simbolo tra le circa quattrocento opere secentesche esposte ben testimonia il ruolo di protagonista assegnato a Caravaggio. È il Merisi, carico di onori dopo gli apprezzamenti ricevuti alla mostra milanese del 1951, a occupare il centro dell’esposizione con una dozzina di dipinti, tra i quali spiccano il San Gerolamo e, soprattutto, la Decollazione del Battista, entrambe conservate nella concattedrale di San Giovanni a La Valletta e restaurate per l’occasione dall’Istituto Centrale del Restauro.