Gli approfondimenti del nostro blog dedicati alla fortuna del Barocco nel Novecento si arricchiscono di un nuovo post di Massimiliano Simone sul pittore fiorentino Sebastiano Mazzoni, veneziano d’adozione
Veduta del Palazzo Moro Lin dal Canal Grande, progettato da Sebastiano Mazzoni per il pittore Pietro Liberi
Un fiorentino a Venezia
Sebastiano Mazzoni si distingue per una qualità piuttosto rara tra i veneziani: il suo estro inventivo.
È in questo modo che, dalle pagine de Il Verri, Nicola Ivanoff introduce la figura di Sebastiano Mazzoni (Firenze 1611 – Venezia 1678) nella sua recensione alla mostra sulla pittura del Seicento a Venezia allestita nel 1959 presso la Ca’ Pesaro. Proseguendo col suo focus sull’artista, il critico continua dicendo:
Oltre che pittore, egli fu poeta, sebbene mediocre, ed anche architetto (e probabilmente scenografo).
Un talento poliedrico, dunque, di cui doveva essere ben conscio l’artista per autodefinirsi “poeta e pittore e doppio matto”. Fiorentino di nascita, la sua presenza in Laguna è attestata fin dal 1638. Allievo di Baccio Del Bianco, uno dei principali esponenti della corrente giocosa della pittura toscana, ma anche apprezzato inventore di macchine teatrali, sull’esempio del suo maestro Mazzoni si allinea ben presto alla tipologia di artista-letterato, sensibile al fascino della poesia satirico-burlesca. Ed è proprio nella simulata autodenigrazione messa in atto nei suoi Scherzi letterari che va rintracciata quell’enfatizzazione della superiorità creativa dell’artista nei generi a lui più congeniali della pittura caricata e bizzarra.
Sebastiano Mazzoni, Morte di Cleopatra, Pinacoteca dell’Accademia dei Concordi, Rovigo
Sebastiano Mazzoni, Annunciazione, Gallerie dell’Accademia, Venezia
Tutto è lasciato al caso!
Sappiamo oggi con certezza che durante il Seicento i dipinti di Mazzoni andavano a costituire parte dell’arredo pittorico di molte residenze veneziane. Eppure, malgrado l’apprezzamento che l’artista godette quando era in vita, fin dal secolo successivo il suo nome sembra cadere nell’oblio. Le ragioni di tale silenzio vanno probabilmente cercate nell’assenza di Mazzoni all’interno della Carta del navegar pitoresco (1660) di Marco Boschini, esaltazione in versi dei maggiori pittori veneti e testo di riferimento per gli studiosi.
La riscoperta dell’artista nel Novecento appare, del resto, del tutto casuale. L’occasione è rappresentata dalla Mostra della Pittura italiana del Sei e Settecento tenutasi a Palazzo Pitti nel 1922: per la prima volta viene mostrata al grande pubblico la Morte di Cleopatra dell’Accademia dei Concordi di Rovigo, con erronea attribuzione a Francesco Maffei. È Giuseppe Fiocco a restituirla, due anni dopo, al pittore fiorentino, riconoscendovi la mano di una personalità artistica “nuova”, ben diversa da quella del vicentino Maffei, e mettendone in risalto la pittura a spirale. Fiocco ne sottolinea poi gli stretti rapporti con le due pale della Chiesa di San Beneto a Venezia. Cinque anni dopo, una volta ricondotto a Mazzoni anche il Ritratto di Condottiero del Museo Civico di Padova, il primo esiguo nucleo pittorico del pittore può dirsi costituito.
La mostra del ’45: una data cruciale
Ma a sancire la rinascita critica dell’artista è l’esposizione Cinque secoli di pittura veneta (1945), dove sale a due il numero di opere esposte, e alla Cleopatra dei Concordi si aggiunge il Ritrovamento di Mosè, proveniente dalla stessa istituzione. Curata da Rodolfo Pallucchini, la rassegna del ‘45 è l’ultima di una lunga serie di mostre svoltesi tra la fine degli anni Trenta e gli anni Quaranta in cui la presenza costante di dipinti di Mazzoni testimonia il rinnovato interesse per l’artista. È in quest’occasione che Roberto Longhi da alle stampe il celebre saggio Viatico per cinque secoli di pittura veneziana (1946). E se la sua opinione sulla pittura veneziana dopo la morte di Tintoretto sembrerebbe tutt’altro che clemente, l’assenza del nome di Mazzoni nel novero di artisti citati da Boschini nella Carta viene giudicata dal critico come una vera e propria “iattura”. Che un simile apprezzamento possa essere motivato dal debole di Longhi per la cerchia artistica toscana, all’interno della quale il nostro si era formato, appare quantomeno scontato.
Ci penserà, tuttavia, Pallucchini a dargli manforte fornendo un affondo critico sull’artista quanto mai illuminante, presente nelle pagine del catalogo della mostra. Dal suo arrivo in Laguna Mazzoni attuerebbe:
uno stile estroso, dove una pungente fantasia trova liberissimo mezzo espressivo nel colore liquido e sfatto che, mediante schemi compositivi tendenti a realizzare movimenti turbinosi, raggiunge una libertà di tocco veramente precorritrice.
L’impeto fantastico delle composizioni, sapientemente giocate su incroci di linee diagonali e su giochi di pieni e vuoti – così ben visibili nelle tele di San Beneto -, sembra infatti contenere in sé “i germi della pittura settecentesca”. Basterebbe questo a giustificare la rivalutazione di Mazzoni: i numerosi contributi di Ivanoff, culminati nell’esteso saggio del ’59, e l’intera sala riservatagli alla mostra di Ca’ Pesaro faranno il resto.