Al termine dell’esperienza come borsista del progetto Quale Barocco? della Fondazione 1563, Giulia Iseppi ci racconta la sua ricerca, incentrata sui Disegni di Guido Reni nelle collezioni americane del Novecento.
Perchè i disegni
Drawings do not carry the same publicity value as paintings. They do not fetch the same colossal prices, and even the most celebrated of them do not hang in reproductions in every home like the great masterpieces of paintings. But they can often tell us things about artists thet we cannot learn from his finished paintings
Così scriveva Anthony Blunt, direttore del Courtauld Institute di Londra, nel 1960, aprendo il catalogo di una mostra all’Auckland City Art Gallery (Nuova Zelanda), di disegni provenienti dalla Witt Collection. Dopo più di mezzo secolo di tentativi, finalmente il disegno veniva celebrato come materiale espositivo autonomo, per comprendere il processo creativo degli artisti e non solo come supporto alla lettura dei dipinti. E in questo percorso in salita verso la rivalutazione del disegno, mi sono resa conto dell’importanza che hanno avuto i fogli di Guido Reni. Se gli studi di Heinrich Bodmer, Otto Kurz, Cesare Gnudi e Andrea Emiliani nel secolo scorso hanno guidato l’occhio allo studio dei suoi dipinti, i disegni sono rimasti irrimediabilmente indietro negli studi e nella valutazione del collezionismo.
In Europa, ma non in America.
La riscoperta di Reni, si sa, è un fatto novecentesco. Ma come avvenne in America? Sono stati i disegni il vettore della riscoperta dell’artista nel corso di quel secolo: mentre i suoi dipinti erano confinati nelle collezioni europee o, nei rari casi in cui giungevano oltreoceano, non erano riconosciuti, i suoi fogli segnavano la strada con cui Reni si affermava nelle mostre americane. Ancora vittima della demonizzazione ottocentesca, con Berenson che scriveva che “Reni e compagni, sotto sotto, civettano con la carne e col demonio” , il Reni pittore negli Stati Uniti Reni era comunque apprezzato, ma rimaneva più che altro uno stereotipo piatto di dolore e pietà, un artista senza storia, come mostra l’acquisto, da parte del magnate di Detroit James Edwars Scripps, del Cristo coronato di spine nel 1887, autografo sì, ma interpretato come mito romantico di un artista dannato: Reni è visto, semplicemente, come “influenced by Caravaggio”.
La mia ricerca ha voluto allora ristudiare le tappe e gli attori di questa riscoperta grafica e ha preso corpo fra gli archivi e le testate giornalistiche, in particolare il New York Times, che dedicò una rubrica agli Old Masters e celebrò i Great Collectors come John Pierpont Morgan. È lui, nel 1909, a presentare in mostra permanente il primo disegno di Reni, l’Idolatria di Salomone, nel suo nuovo museo newyorkese. In quel momento, iniza a scomparire lo stereotipo e inizia a intrevvadersi un vero artista.
Guido Reni, Cristo coronato di spine, Detroit Institute of Arts
Guido Reni, Idolatria di Salomone, New York, P. Morgan Library,penna e inchiostro bruno su carta
Documenti e testimonianze
Guido Reni, Diana, Fogg Museum, Harvard University
Guidata dalle conseguenze che la mostra della Pittura Italiana del Sei e Settecento a Palazzo Pitti (1922) riverberò in Europa e negli Stati Uniti, ho riletto molti episodi che si sono succeduti fra gli anni Venti e Trenta in America, ma un nodo particolare è rappresentato da quanto è avvenuto nei musei dei college accademici di Cambridge e Harvard.
Fra gli esiti più interessanti della ricerca documentaria c’è la ricostruzione dello svolgimento, dei prestiti e dell’esito di una piccola ma importante mostra curata da Arthur McComb nel 1929, Exhibition of Italian XVII and XVIII paintings and drawings at The Fogg Art Museum concepita, senza catalogo, come mostra didattica a corredo delle lezioni che in quei mesi McComb teneva ad Harvard sul Barocco. Lo studioso espose per la prima volta disegni del Seicento e fu colpito, secondo le sue parole, da una “unsuspected beauty”. Questi retroscena sono alla base della prima campagna di catalogazione di un corpus di disegni pubblico, quello del Fogg, nel corso della quale emergono i due cartoni reniani di Apollo e Diana, acquisiti nel 1920 ma pubblicati solo nel 1930, correttamente datati. Nasce la connosseurship dei disegni di Guido Reni.
Il Boom delle mostre: il secondo Dopoguerra
E’ inevitabile che l’esplosione di mostre degli anni Cinquanta abbia a che fare con la Mostra di Guido Reni del 1954 (recensita da Francesco Arcangeli sul New York Times), la prima monografica allestita nella cornice dell’Archiginnasio di Bologna, che segnò inevitabilmente la scalata al successo delle “Biennali d’Arte Antica”, pensate da Cesare Gnudi. Gli aspetti più interessanti della ricerca hanno riguardato aspetti poco noti di una mostra così celebre: in particolare, gli scambi con i referenti di Gnudi per l’America, come Wilhelm Suida ed Everett Austin, per i prestiti delle opere del Ringling Museum di Sarasota e della collezione di Walter P. Chrysler, e il dibattito che si forma attorno alla preparazione della prima Mostra di disegni del Seicento bolognese del 1947, vero prologo alla sezione sui disegni della mostra reniana del ’54, dove finalmente il numero dei fogli esposti al pubblico si amplia e inizia ad assumere le vesti di un piccolo catalogo.
Tutta in discesa la strada che portò, nell’ambito della nuova moda delle travelling exhibitions americane, a prediligere il disegno, soprattutto il disegno barocco. Guardando le carte dietro alla preparazione della mostra di Old Master Drawings from Chatsworth (1962), il cui proprietario, il Duca di Devonshire, era parente dei Kennedy, si scopre che c’era grande attesa per l’evento, che si prefigurava già come un grande successo di pubblico e di critica, e che Guido Reni era uno degli artisti più gettonati, era l’inedito tanto atteso da essere scelto per il primo numero della nuova, patinata rivista “Master Drawings” aperta nel 1963. Anche Art in Italy 1600-1700, curata da Frederick Cummings e Rudolf Wittkower, segna un traguardo ineludibile per la fortuna della grafica barocca: si arriva alla consapevolezza che non era possibile delineare una storia dell’arte del Seicento senza il disegno. I fogli di Reni, come quelli di Annibale, guidano il percorso di comprensione del pittore.
Questo studio si è chiuso con il decennio d’oro di Guido Reni, gli anni Ottanta. Le manifestazioni fra Italia, Europa e America hanno principalmente un nome, che è quello di Andrea Emiliani. Lo scandaglio della corrispondenza fra Bologna, Los Angeles, Londra e Philadelphia ha fatto emergere inediti episodi e numerosi particolari delle fasi di preparazione della mostra italoamericana, nonché un ruolo trainante del Los Angeles County Museum: tanti sono i documenti relativi a un’esposizione autonoma di disegni mai realizzata, prologo a future scelte di campo europee.
Se è vero che, come disse Cesare Gnudi, “ogni secolo ha scelto il suo Reni”, l’America, nel Novecento, ha scelto il Reni del disegno.
La recensione alla Mostra di Guido Reni del 1954 apparsa sul New York Times, firmata da Francesco Arcangeli
Jacqueline Kennedy e il curatore John A. Pope all’inaugurazione di Old Master Drawings from Chatsworth (1962)