Barocca-mente questa settimana riprende il tema del mestiere del restauratore per raccontare l’arrivo di opere barocche sull’altra sponda dell’Atlantico e alcuni interventi di Mario Modestini su capolavori del Seicento
Prima degli USA, il Brasile
Il post di qualche settimana fa ci ha permesso di conoscere le abilità di un grande restauratore romano che divenne uno dei più importanti professionisti del settore in America e punto di riferimento della collezione Kress, tra le più significative raccolte statunitensi.
Tuttavia, i primi contatti che Modestini ebbe con il mondo d’Oltreoceano non furono con gli States, bensì con il Brasile.
Quando ancora lavorava a Roma, egli ebbe modo di incontrare presso lo Studio d’Arte Palma Assis de Chateubriand (1892-1968), giornalista e imprenditore brasiliano che stava costruendo i Diários Associados, un vero e proprio impero mediatico, dapprima costituito da testate giornalistiche e a cui si aggiunsero poi le radio e la televisione.
L’obiettivo di quella visita di Chateaubriand alla galleria Palma era quello di acquistare opere con l’intento di destinarle a un grande museo a San Paolo.
Con il Chato, soprannome con cui veniva chiamato l’imprenditore sudamericano, si instaurò subito un rapporto di fiducia. Modestini e gli altri furono incaricati di trovare quadri importanti per questo suo progetto e invitati a recarsi in Brasile. Alcuni membri dello Studio D’Arte Palma, come Pietro Maria Bardi (1900-1999) e il direttore Francesco Monotti, si trasferirono a San Paolo.
In questa grande collezione che si andava costituendo non potevano mancare dipinti barocchi, che Modestini selezionò nel corso dei suoi viaggi. Uno dei capolavori che si trovano tutt’oggi a San Paolo per merito del restauratore romano è il Ritratto di Diego d’Olivares, un’opera giovanile di Diego Velázquez (1599-1660) acquistato dalla Galleria Matthiesen.
Un altro pezzo selezionato da Modestini per il museo brasiliano fu una grande tela di Francesco Solimena (1657-1747) raffigurante Giuseppe e la moglie di Putifarre, comprato in Scozia dal barone Hugo von Grundherr (1874-1956).
Diego Velázquez, Ritratto di Diego d’Olivares, San Paolo, Museu de Arte
Pieter Paul Rubens, Ritratto della Marchesa Doria Spinola, Washington, The National Gallery of Art
Un baratto barocco
Poco dopo il reclutamento da parte della Kress Foundation e il suo arrivo a New York nel 1949 Modestini si distinse subito non solo per la sua abilità come restauratore ma anche per il suo occhio formidabile.
All’inizio degli anni Cinquanta, proprio al principio della lunga collaborazione con l’istituzione americana, Kress invitò Modestini nel suo appartamento al 1020 della Fifth Avenue per visionare insieme le opere appese alle pareti. Interpellato su un dipinto di Leonardo, Modestini non poté nascondere che si trattava di un allievo e non della mano del maestro. Il dipinto era stato acquistato da Duveen, la galleria del leggendario antiquario che nel 1939 era diventata proprietà di Edward Fowles (1885-1971). Kress, Modestini e l’avvocato della fondazione si recarono immediatamente presso la galleria all’incrocio tra la Fifth Avenue e la 56° per esporre il problema e negoziare un risarcimento. Fowles, ovviamente costernato per via dell’accaduto, propose una sostituzione con un altro pezzo, così Kress invitò Modestini a guardarsi intorno e suggerirgli qualche dipinto. Non fu difficile individuare un capolavoro.
Lì, su una delle pareti, a fissarlo con quello sguardo intenso che per secoli si era affacciato sul mare da un palazzo nobiliare di Genova e ora si trovava nell’edificio commissionato da Lord Duveen a Carrère & Hastings, il ritratto della marchesa Doria Spinola richiamava l’occhio dell’esperto come il canto di una sirena. Immortalata per sempre dal giovane Rubens nella sua magniloquente gorgiera e nel fruscio imprevedibile della seta, la nobildonna genovese si offriva come una scelta obbligata a compensare l’equivoco.
E così la collezione Kress grazie allo scambio suggerito da Modestini acquisì uno dei suoi più importanti capolavori d’età barocca, oggi alla National Gallery di Washington.
Le mani su Rubens: da opera dubbia a capolavoro del MET
Al tempo in cui Modestini selezionava capolavori per il Museo d’Arte di San Paolo entrò in contatto con George Wildestein (1892-1963), titolare dell’omonima ditta, che ebbe un ruolo importantissimo nell’approvvigionamento dell’istituzione brasiliana. Prima e dopo il trasferimento a New York Modestini ebbe con la Wildenstein & Co. un rapporto di collaborazione continuativo. Nel 1977 fu chiamato da Daniel Wildestein (1917-2001) a esaminare un grande autoritratto di Pieter Paul Rubens con la sua seconda moglie Helena Fourment e il loro bambino, oggi conservato al Metropolitan Museum of Art di New York.
Le valutazioni sull’opera che erano state fatte in precedenza erano piuttosto critiche sull’autografia e sullo stato di conservazione, ma Modestini si accorse invece che l’unica zona problematica era quella del viso di Rubens stesso. Sotto lo strato di ridipintura ottocentesca, in corrispondenza del volto, la superficie era tutta crettata, con lievi spaccature che erano indice di un pentimento dell’artista e di un suo stesso intervento quando la pittura non era ancora asciugata. Grazie a una radiografia Modestini fu in grado di dimostrare che in un primo momento Rubens si era autoritratto rivolgendo lo sguardo al figlio mentre in un secondo momento aveva corretto la direzione del volto verso la moglie.
Una volta liberato dalla ridipintura ottocentesca e dagli strati di vernice che ingiallivano i colori del dipinto, Modestini riconsegnò a Wildestein un capolavoro di primo piano. Il mercante contattò immediatamente John Pope-Hennesy (1913-1994) per proporlo al MET, che a sua volta lo fece acquistare ai collezionisti Charles e Jane Wrightsman, sostenitori dell’istituzione newyorkese, per una cifra che si aggirava attorno ai tre milioni di dollari!
Pieter Paul Rubens, Autoritratto con la moglie Hélène Fourment e il figlio, New York, The Metropolitan Museum