Qualche settimana fa, all’interno del blog Barocca-mente, avevamo dato spazio alla figura di Alessandro Morandotti, antiquario, collezionista e editore. La sua casa editrice Cosmopolita, nel 1945, aveva pubblicato un testo che è considerato ancora fondamentale dalla critica: Il manierismo e Pellegrino Tibaldi, di Giuliano Briganti. Ma questo storico dell’arte ha dato anche un contributo cardinale alla conoscenza del Barocco, con riflessioni teoriche e un importante volume: scopriamolo in questo post.
Un’intensa attività editoriale
Giuliano Briganti con Eugenio Scalfari
I legami con Morandotti e con il mondo dell’arte dei primi decenni del Novecento risalgono, in realtà, al padre di Giuliano, Aldo, anch’egli mercante e già allievo di Adolfo Venturi a Roma. Anche Giuliano, nato a Roma il 2 gennaio 1918, si laureerà in Sapienza, ma con Pietro Toesca, con una tesi su Pellegrino Tibaldi che, qualche anno dopo, diventerà proprio il volume pubblicato nel 1945.
Da giovanissimo, inizia a scrivere saggi per numerose riviste d’arte: dal 1944 al 1946 è il redattore del settimanale “Cosmopolita”; recensisce mostre su “Emporium”, tra le quali anche quelle di Palazzo Massimo alle Colonne organizzate dalla Galleria Antiquaria; dal 1965 al 1968 tiene una rubrica per “L’Espresso”, e dal 1976 diventa il critico d’arte di “La Repubblica”, scelto direttamente da Eugenio Scalfari. La collaborazione per il quotidiano durerà fino a un mese prima della morte, avvenuta il 17 dicembre 1992.
Giuliano Briganti nei primi anni Settanta, a Piazza Navona
Le mostre
L’interesse di Giuliano Briganti per il Barocco si può seguire attraverso le due strade, costantemente in dialogo, delle esposizioni d’arte e delle pubblicazioni.
Del 1944 è la Mostra di pittori italiani del Seicento, promossa dallo studio d’arte Palma di Roma; nel 1950 cura personalmente l’ultima mostra dell’attività espositiva di Antiquaria, quella sui Bamboccianti, tematica che tratterà poi in forma più estesa nella monografia del 1983.
Qualche anno dopo, nel 1954, presso la Galleria del Sole in via Sant’Andrea a Milano, prepara un’esposizione di una piccola raccolta privata di quadri italiani del Seicento e del Settecento. Il contesto era tutto da esplorare, in un momento in cui erano ancora rare le collezioni private dove i quadri venivano scelti con criterio intelligente e con seria comprensione dei valori di
«due dei secoli più ricchi della storia pittorica, molte zone dei quali sono tuttavia, per i più, ancora in ombra, nonostante i molti sforzi della critica d’arte che ha portato, in questi ultimi anni, soprattutto attraverso le mostre, a divulgazioni felicissime il cui successo non può che dare a bene sperare. Quando i collezionisti si renderanno pienamente conto che un bel quadro di Assereto, di Baciccia o di Fetti è più desiderabile, non solo ma anche vale di più, di un Tiziano dubbio o artefatto, sarà un gran giorno».
…e gli articoli su Paragone
Per i primi due numeri di “Paragone. Arte” del 1950-1951, Briganti firmerà tre saggi che indagano i numerosi significati del termine «barocco», una «strana parola» di cui era necessario stabilire limiti convenzionali che la definissero come fenomeno figurativo dai precisi confini cronologici e geografici.
Giuliano era stato chiamato a far parte della redazione di “Paragone” dal fondatore, Roberto Longhi, che conosceva da tempo perché amico del padre Aldo.
Roberto Longhi e Giuliano Briganti
Tra i due nacque uno stretto rapporto, oggetto di due recenti libri: uno, a cura di Giovanni Agosti, raccoglie i saggi scritti da Briganti su Longhi; mentre nell’altro sono pubblicate le lettere fra i due. Quest’ultimo è a cura di Laura Laureati che, insieme a Luisa Laureati Briganti, ha progettato un sito dedicato a Giuliano, ricchissimo di informazioni, bibliografia e fotografie.
Vogliamo usare la parola “barocco”? Usiamola!
Il contributo più noto di Briganti al Barocco, tuttavia, è forse il volume su Pietro da Cortona o della pittura barocca, uscito per Sansoni nel 1962, riconosciuto tra i libri fondativi per la riscoperta del Seicento. Non una monografia, come l’autore stesso specifica, ma un ragionamento su quella «solidarietà stilistica» che si creò a Roma negli anni Trenta del Seicento e che, secondo Giuliano, costituisce l’essenza del Barocco.
Uno dei grandi insegnamenti di Briganti, infatti, è proprio questo: possiamo utilizzare il termine “barocco” davvero senza timore, a patto di avere bene in mente il suo significato, come un altro storico dell’arte, Giovanni Romano, ha scritto ricordando questo libro:
«Vogliamo usare la parola “barocco”? Quando la usava Giuliano era forse meno inflazionata di adesso. Usiamola! Abbiamo usato “gotico”, “romanico”, negli anni di Briganti, si usava con disinvoltura “neoclassico”, adesso ti insultano se lo si. Basta che poi sappiamo quello che si vuol dire quando usiamo “barocco”».