Questa settimana, il blog Barocca-mente indossa abiti settecenteschi, dedicando un approfondimento a una mostra allestita a Roma durante la Seconda Guerra Mondiale.

Frontespizio del catalogo della mostra

Aprile 1943: i tedeschi incendiano il ghetto di Varsavia; a Torino, il primo sciopero operaio della Fiat si estende in tutto il nord Italia; il quartiere San Lorenzo di Roma è martoriato dai bombardamenti. Gli alleati stanno preparando lo sbarco in Sicilia, ma la Seconda Guerra Mondiale dovrà durare altri due anni.

È questo il contesto storico che fa da cornice alla mostra Cinque pittori del Settecento, allestita a Roma, a Palazzo Massimo alle Colonne, e curata da Alessandro Morandotti (1909-1979): giornalista, collezionista, mercante d’arte e direttore della ditta Antiquaria.

Uno degli scopi della Galleria consisteva nel recupero di momenti trascurati della pittura italiana e così, nei quattro anni precedenti, aveva già promosso iniziative espositive sul paesaggio veneziano del Settecento; sulla pittura veneziana in generale dello stesso secolo e, infine, sul pittore Giuseppe Bernardino Bison (1762-1844).

Protagonisti e ragioni dell’esposizione

Per una mostra che voleva essere «una vera e propria rivelazione», Morandotti sceglie cinque pittori del XVIII secolo: Giuseppe Ghislandi, Giuseppe Maria Crespi, Alessandro Magnasco, Giuseppe Bazzani e Giacomo Ceruti. La scelta di questa cinquina è ragionata e motivata dal curatore:

«Vissuti ai margini territoriali e spirituali della Serenissima, esponenti del movimento artistico dell’Italia settentrionale, essi completano, per i contatti e i legami con la scuola veneziana del Settecento, il panorama pittorico illustrato nelle precedenti esposizioni. Contemporanei, ma diversi fra loro per educazione, gusto, sensibilità, li accumunano i rapporti che li legano alla pittura veneziana del Settecento: rapporti notevolissimi di dare e di avere»

Inoltre, Morandotti sottolineava come il dibattito della storiografia artistica contemporanea si fosse affievolito dopo la frenesia scaturita a seguito della mostra fiorentina del 1922: era in corso una «frattura tra critica e collezionismo, tra orientamento dell’indagine scientifica e tendenza del raccoglitore». La mostra, quindi, voleva anche ristabilire un contatto tra gli studiosi e gli amatori per favorire così un livello più elevato delle opere. Effettivamente, i pezzi furono scelti con scientificità, criterio rigoroso e, forse, anche con un pizzico di gusto personale: lo stesso Morandotti infatti ne approfitta acquistando, al termine dell’esposizione, due dipinti prestati da Giovanni Maria Visconti Venosta: Rebecca e Eleazaro al pozzo di Giuseppe Maria Crespi e un Ritratto di ecclesiastico di Giacomo Ceruti, in seguito comperato da Giovanni Testori.

Giuseppe Maria Crespi, Rebecca e Eleazaro, mercato antiquario (ma già collezione Alessandro Morandotti e, prima, Visconti Venosta)

Giacomo Ceruti, Ritratto di ecclesiastico, Milano, mercato antiquario (ma già collezione Testori)

Nella recensione apparsa su «Emporium», Giuliano Briganti declina per ogni artista l’importanza assunta nell’esposizione: Fra Galgario, sebbene fosse l’unico a non essere stato oggetto di una rivalutazione importante, era però presente con opere inedite di collezionisti privati, e così anche Crespi. I dipinti di Magnasco poi stupivano per l’elevata qualità, e per il Bazzani e il Ceruti il contributo si rivelava particolarmente prezioso perché erano pittori pressoché sconosciuti, rispettivamente studiati solo da Guglielmo Pacchioni e Giuseppe De Logu.

Dopo la mostra…la partenza per l’estero

Nonostante il successo della mostra, le opere seguirono o la via del mercato antiquario o quella dell’estero. Alcune, anzi, sono accumunate da una storia simile: i due ovali di Fra Galgario, ad esempio, finirono nella mani di Alessandro Contini Bonacossi, che li vendette alla Fondazione Kress nel 1950. Nell’offerta, erano accompagnati da una perizia di Roberto Longhi, nella quale notava come in entrambi i ritratti

«il Ghislandi si serve del suo modello preferito, qui, abbigliandolo da giovane gentiluomo, nell’altro, da “schiavone” in turbante, in atto di bere».

Giuseppe Ghislandi, Ritratto di giovane come nobiluomo e ritratto di giovane con turbante, Raleigh, North Carolina Museum of Art

Anche molti quadri di Giuseppe Bazzani, di cui aveva prestato un importante nucleo la contessa Marianna Prampolini di Reggio Emilia, finirono in America, spesso, di nuovo, con l’intermediazione di Contini Bonacossi. Ma questa è un’altra storia.