All’aprirsi del XX secolo, per la maggior parte dei critici e degli amatori Giovanni Serodine (Ascona 1600 – Roma 1630) non è che un Carneade, un personaggio mai sentito nominare. A questo artefice proveniente da un villaggio lacustre nelle terre dell’attuale Canton Ticino e alla sua fortuna novecentesca è dedicato il post di Barocca-mente di questa settimana.

Ragioni di una sfortuna

la ricomparsa, sull’orizzonte della storia dell’arte, di questo artista dimenticato è curiosa a raccontare

Così Roberto Papini apre il suo articolo in “Dedalo”, pubblicato nel 1923, in cui ripercorre il fortunato ritrovamento di un dipinto realizzato da un artista che, allora, era noto quasi solo in ragione della succinta biografia inserita da Giovanni Baglione nel suo Le Vite de’ Pittori, Scultori et Architetti, edito a Roma nel 1642. Il medaglione biografico dedicato a Serodine non è particolarmente benevolo e difatti la critica tende a interpretarlo nella cornice della polemica anticaravaggesca portata avanti dal biografo romano, che rimprovera all’asconese l’imitazione di Caravaggio, la scarsa educazione accademica e il naturalismo “senza disegno, e con poco decoro”. Passato poi sotto silenzio dagli autori delle più note fonti – Giovan Pietro Bellori (1672), Filippo Baldinucci (1686), Pellegrino Antonio Orlandi (1719) –, il suo ricordo sopravvive solo in forma di menzione nelle guide romane. Pressoché unica eccezione è il volume di Geschichte der besten Künstler in der Schweiz, nebst ihren Bildnissen (Storia dei migliori artisti in Svizzera, con i loro ritratti) (Zurigo 1769) scritto da Johann Caspar Füssli, che ne riporta una biografia e un ritratto immaginario.

Ritratto immaginario Serodine in Fussli (1769)

Ritratto immaginario di Giovanni Serodine nel volume di Füssli del 1769

Per evocare le ragioni di una sfortuna di quasi tre secoli ci rimettiamo alle frasi d’apertura scritte da Roberto Longhi nel 1950 nel suo contributo sull’artista:

che Giovanni Serodine non sia soltanto il più forte pittore del Canton Ticino, ma uno dei maggiori di tutto il Seicento italiano, è affermazione che fu lungamente impedita da ragioni d’ordine vario. Esterno, come lo smarrimento progressivo e la ubicazione troppo eccentrica delle sue poche opere; interno, e più decisivo, l’orientamento dottrinale del gusto, durato, per più di due secoli, in favore dei precetti accademici e perciò sempre in grave sospetto di fronte ad ogni inclinazione ‘naturalistica’. Mutandosi quel gusto nella seconda metà del secolo scorso, ma più lentamente che altrove in Italia, fu soltanto l’ultimo trentennio di ricerche a condurre alla riscoperta del pittore e a mantener desta l’attenzione su di lui.

Ma, con questa citazione da Longhi, siamo già arrivati alla metà del secolo scorso. Riavvolgiamo il nastro e torniamo al racconto del ritrovamento di Papini, che ci riporta indietro sino al biennio 1921-1922.

La riscoperta, tra Papini e Longhi (e Voss)

Capitato, quasi per caso, all’Abbazia di Valvisciolo, in prossimità di Sermoneta (LT), Papini vede un dipinto molto annerito e sporco rappresentante l’Elemosina di san Lorenzo, in cui crede di riconoscere tratti distintivi dello stile di Caravaggio. Dopo aver appreso da un raro opuscolo riportante memorie sull’abbazia che il dipinto proviene dalla basilica di San Lorenzo fuori le mura a Roma, si rivolge alla guida di Filippo Titi, Descrizione delle Pitture, Sculture e Architetture esposte in Roma (Roma 1793), per saperne di più. La pista è giusta: Titi descrive un’Elemosina di san Lorenzo di Giovanni Serodine sul primo altare a mano sinistra, ma anche una Decollazione del Battista in corrispondenza del terzo altare, ugualmente di mano dell’asconese. A un doppio controllo risulta che anche Baglione registrava le due opere nel medesimo luogo. Ritrovata dunque la prima collocazione del dipinto di Valvisciolo e accingendosi a mettersi sulle tracce dell’altro originariamente in San Lorenzo così come del resto dei dipinti di Serodine menzionati nelle Vite del 1642, Papini racconta a Longhi l’impresa a cui si sta dedicando. Subito questi risponde rilanciando con una scoperta altrettanto significativa: nel 1920, durante una visita al museo di Avignone, la sua attenzione era stata attratta da due tele con soggetti – da lui definiti – “caravaggeschi”, coincidenti con quelli di Serodine che le fonti ricordano in San Lorenzo: si tratta di copie in piccolo formato, fatte prontamente fotografare. Poco dopo l’incontro con Papini, proprio grazie a una delle fotografie, Longhi sarà in grado di identificare la seconda delle opere realizzate da Serodine per San Lorenzo, la Decollazione del Battista, in un dipinto assai ammalorato conservato nella sagrestia della chiesa stessa.

Serodine Elemosina di San Lorenzo

G. Serodine, Elemosina di san Lorenzo, Veroli, Museo dell’Abbazia di Casamari (già a Valvisciolo e originariamente in San Lorenzo fuori le mura)

Serodine Decollazione San Lorenzo

G. Serodine, Decollazione del Battista, Roma, San Lorenzo fuori le mura

In quello stretto giro di tempo, ricordano sia Papini che Longhi, vengono a sapere che Hermann Voss ha scoperto nel Gabinetto delle stampe del museo di Berlino due incisioni che ritraggono il quadro di Serodine ricomparso a Valvisciolo. La prima è opera di Jean-Claude Richard de Saint-Non e reca l’indicazione “Du Guercin – Eglise de St. Laurent hors les murs à Rome – Saint Non sc. 1771”. La seconda si deve all’incisore tedesco Johann Gottlieb Prestel: è eseguita fra il 1760 e il 1766 ed è corredata dall’iscrizione “Guercino pinxit – Prestel Deò. et fecit aqua forte”.

Oscurato da un’attribuzione al più celebre Guercino, il ricordo di Serodine a San Lorenzo era andato a perdersi.

Conclude Papini:

Così per la convergenza delle ricerche di tre studiosi, ignaro ognuno delle piste seguite dall’altro, oggi la figura di Giovanni Serodine sta balzando fuor dall’ombra in cui per tre secoli è stata sommersa

Serodine San Pietro in Carcere Züst

G. Serodine, San Pietro in carcere, Rancate, Pinacoteca Züst

La ribalta alla mostra del 1922 e l’avvio di una parabola ascendente

Tra il 1921 e il 1922, sia Papini che Longhi sono direttamente coinvolti nella grande operazione di individuazione e selezione delle opere da portare alla Mostra della pittura italiana del Seicento e del Settecento di Palazzo Pitti. L’occasione è ghiotta per presentare agli esperti e al pubblico le recenti scoperte sull’asconese e infatti l’Elemosina di San Lorenzo (oggi al Museo dell’Abbazia di Casamari a Veroli) – in condizioni di conservazioni decisamente migliori rispetto alla compagna – fa bella mostra di sé – dopo una serie di operazioni di riparazioni e verniciatura – nella seconda sala, dedicata ai caravaggeschi. Margherita Nugent, nelle sue note, ricorda Serodine come “uno dei più forti discepoli del Caravaggio” e dell’opera scrive “basta essa a farcelo apparire subito artefice vigoroso, dalla pennellata grassa e potente”.

Come si capisce dalla corrispondenza tra Papini e Nello Tarchiani – incaricato della redazione del catalogo delle opere -, per un momento si dubita di esporre il dipinto, ma fortunatamente si torna sui propri passi. Scrive Papini: “Sapevo che volevate rinunciare al Serodine di Valvisciolo e al Lanfranco di Sezze; avete fatto bene a pentirvi perché sono due quadri importantissimi.”

Eloquenti, però, della conoscenza pressoché nulla di Serodine a quest’altezza cronologica sono le colorite parole con cui Tarchiani esorta Papini a inviargli notizie biografiche sul pittore:

lettera Tarchiani a Papini

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Quanto l’esposizione dell’Elemosia di san Lorenzo alla mostra del 1922 sia stata determinante per rilanciare l’interesse verso questo artista è fatto da subito evidente agli studiosi e apertamente dichiarato da Virgilio Gilardoni nella prima nota del suo saggio del 1950 significativamente intitolato Giovanni Serodine, d’Ascona : a la découverte d’un grand maître inconnu.

Sulla scia dell’impressionante moltiplicarsi di studi dedicati a Caravaggio, dagli anni Cinquanta del secolo scorso fioriscono le pubblicazioni su Serodine. Soprattutto, l’asconese diventa protagonista di numerose mostre, al di là e al di qua del confine italo-svizzero: nel 1950 a Brissago; nel 1987 a Locarno e a Roma; a Rancate nel 1993, nel 2012 e nel 2015. Le mostre di Rancate si svolgono alla Pinacoteca Cantonale Giovanni Züst, che, non a caso, può vantare quale fiore all’occhiello della propria collezione proprio un terzetto di capolavori di Serodine: il San Pietro in carcere, la Vergine dei Mercedari e il Ritratto di giovane disegnatore.

Serodine Incoronazione della Vergine Ascona 1628

G. Serodine, Incoronazione della Vergine, Ascona, SS. Pietro e Paolo

Se la produzione pittorica è stata ben indagata, ancora molto da approfondire è invece l’attività di stuccatore e scultore suggerita dai documenti e dalle fonti. Nuove strade, insomma, per proseguire negli studi.