Il nuovo post di Barocca-mente  indaga la storia delle vendite, dal 1928 al 1934, di alcuni dei più celebri dipinti provenienti da collezioni nazionali russe. Una controversa vicenda che coinvolse alcune opere di Raffaello, Tiziano, Rembrandt, Rubens, Van Dyck e il banchiere, politico e collezionista d’arte statunitense Andrew Mellon.

Vendere per sopravvivere

Alla vigilia della Prima guerra mondiale, la Banca di Stato dell’Impero russo possedeva circa 1,7 miliardi di rubli d’oro: secondo alcuni esperti, si trattava della più grande riserva monetaria tra quelle delle banche centrali del mondo; secondo altri, era seconda solo alla Banca di Francia. Tenendo conto delle spese del governo zarista e di quello provvisorio del 1917, nonché delle perdite subite durante la guerra civile, il governo sovietico alla fine risultò erede “solo” di un miliardo di rubli d’oro, anch’esso esaurito all’inizio degli anni Venti. L’URSS fu così costretta a lanciarsi in un’industrializzazione accelerata, ma dopo qualche anno si trovò in un profondo abisso di debiti.

Vendita di oggetti d’arte organizzata dall’azienda Antikvariat, ca. 1929

A questo periodo appartiene una delle pagine più tragiche della storia dell’arte russa nel XX secolo: la vendita all’estero di intere collezioni d’arte nazionali, avvenuta tra il 1928 e il 1934. Uno dei punti cruciali del protocollo della Riunione del Comitato Centrale del Partito Comunista del 16 agosto 1928 recitava: «Istituire una commissione […] per garantire l’assegnazione urgente di dipinti e oggetti museali per un valore di 30 milioni di rubli per la loro esportazione per la vendita all’estero».

Il ruolo guida nella vicenda in questione fu svolto da un’agenzia speciale istituita a Leningrado nel 1929 con il nome di Antikvariat. Essa gestiva le vendite di opere d’arte provenienti da musei, ex residenze zariste, chiese e collezioni private i cui proprietari erano stati giustiziati durante la Rivoluzione d’Ottobre o erano fuggiti all’estero. Il solo Ermitage ricevette l’incarico di vendere ben 250 dipinti per non meno di 5.000 rubli ciascuno; oltre a incisioni, armi e oggetti d’oro. In base alla realizzazione di questo piano, il museo riceveva fondi per i lavori di restauro e gli stipendi del personale. In altre parole, il museo continuava a esistere svendendo sé stesso.

Inutile dire che le perdite subite dalle collezioni nazionali in seguito a queste vendite furono incolmabili. Così, 30 delle 40 Uova Fabergé furono sparse in tutto il mondo e circa 50 preziosi dipinti migrarono in modo permanente verso alcune note raccolte d’Oltreoceano. Tra questi: San Giorgio e il drago (ca. 1505) e la Madonna d’Alba (ca. 1511) di Raffaello, l’Adorazione dei Magi, (ca. 1478-1482) di Botticelli, la Crocifissione con la Vergine Maria, San Giovanni, San Girolamo e Santa Maria Maddalena (ca. 1482-1485) di Perugino e la celebre Venere allo specchio (1555) di Tiziano, oggi tutte e quattro alla National Gallery of Art di Washington; il dittico Crocifissione e Giudizio Universale (ca. 1436-1438) di Jan van Eyck, trasferito al Metropolitan Museum of Art; o ancora Il trionfo di Venere (1635-1636) di Nicolas Poussin, ora facente parte della collezione del Philadelphia Museum of Art.

Una delle sale del Palazzo d’Inverno nell’acquerello di Luigi Premazzi del 1869 con la Madonna d’Alba di Raffaello e una visitatrice della National Gallery of Art di Washington nell’atto di copiare il dipinto

I volti del mercato

Gli oggetti d’arte selezionati dall’Antikvariat venivano inviati in Europa per essere venduti a una clientela internazionale. Le prime aste ebbero luogo a Berlino presso la Rudolph Lepke’s Kunst-Auctions-Haus nel 1928. La creazione di una rete di clienti per l’Ermitage fu affidata a Francis Matthiesen (noto anche come Franz Catzenstein, 1898-1963) mercante d’arte e gallerista tedesco di origine ebraica. Il governo sovietico si rivolse a lui per ottenere un elenco di dipinti provenienti da collezioni russe che non avrebbero mai dovuto essere venduti a causa del loro valore culturale e artistico. Qualche tempo dopo, Matthiesen fu sorpreso a vedere alcuni di questi dipinti a Parigi, nella collezione Gulbenkian.

Calouste Sarkis Gulbenkian (1869-1955) fu un finanziere, industriale e filantropo britannico di origine armena, uno dei più influenti magnati del petrolio del XX secolo e tra i primi acquirenti della collezione dei dipinti dell’Ermitage.

Francis Matthiesen (Franz Catzenstein), ca. 1960

Calouste Sarkis Gulbenkian in Egitto, 1928

Andrew William Mellon, ca. 1933

Da appassionato d’arte, egli non poté farsi sfuggire un’occasione così propizia. Dopo aver fallito l’acquisto della Giuditta di Giorgione, del Ritorno del figliol prodigo di Rembrandt e del Perseo e Andromeda di Rubens, si ‘accontentò’ di 51 pezzi della collezione russa, per i quali pagò 278.900 sterline. Oggi fanno parte dell’esposizione permanente del Museo Calouste Gulbenkian di Lisbona, fondato dal mecenate nel 1969.

Gulbenkian offrì al giovane Matthiesen di essere il suo agente per ulteriori acquisti, ma questi preferì formare un consorzio con la ditta londinese Colnaghi e Knoedler&Co. di New York, che acquistò 21 dipinti tra il 1930 e il 1931. Proprio queste tele costituirono la famosa collezione di un altro personaggio importante per la vicenda in esame: Andrew Mellon (1855-1937). Politico, banchiere e imprenditore statunitense di spicco, Mellon era all’epoca considerato il terzo uomo più ricco degli Stati Uniti dopo John Davison Rockefeller e Henry Ford. Nel suo lascito testamentario donò dieci milioni di dollari per la fondazione della National Gallery of Art di Washington che ospitò i capolavori già citati e quelli di cui parleremo a breve.

Gulbenkian avrebbe scritto a tal proposito ai rappresentanti sovietici nel 1930:

Il pubblico sta già parlando molto di queste vendite, che a mio avviso sono molto dannose per il vostro prestigio (soprattutto la vendita al signor Mellon, che è molto in vista). È possibile che in alcuni casi in America possiate ottenere prezzi più alti di quelli che vi ho suggerito. Ma gli svantaggi di questi affari sono così grandi in termini di prestigio e pubblicità che mi sorprende che si continui a sceglierli. Vendete quello che volete, ma non ciò che è esposto nei musei. Vendere qualcosa che è un tesoro nazionale è motivo di una “diagnosi” molto seria.

Il trionfo del Barocco

Anche uno sguardo superficiale all’elenco dei dipinti venduti all’estero negli anni in questione ci permette di capire quanto fossero apprezzate le opere dell’età barocca. Così, Calouste Gulbenkian si accaparrò immediatamente il Ritratto di Titus (ca. 1662, oggi al Louvre), il Ritratto di Vecchio (1645), e la Pallade Atena (ca. 1655-1657) di Rembrandt, nonché il Ritratto di Helena Fourment (1630-1632) di Rubens, oggi al menzionato museo di Lisbona.

Dipinti di Rembrandt e Rubens della collezione dell’Ermitage acquistati da Calouste Gulbenkian

Come è stato detto, molte tele furono acquisite da Andrew Mellon e oggi costituiscono il nucleo della collezione della National Gallery of Art di Washington. Si tratta precisamente delle seguenti opere (oltre a quelle “non barocche” citate in precedenza): Ritratto di una donna fiamminga (ca. 1618), Ritratto di Isabella Brant (1621), Ritratto di Suzanne Fourment con la figlia (1621) e Ritratto di Philipp, Lord Wharton (1632) di Antoon van Dyck (il Ritratto di Antoine Triest (ca. 1627) dello stesso pittore è trasmigrato nel Museum of Fine Arts di Houston); Uomo in costume orientale (ca. 1635), Nobile polacco (1637), Donna con in mano una rosa (1656) di Rembrandt, nonché Ragazza con la scopa (1651) e Giuseppe accusato dalla moglie di Putifarre (1655) attribuiti alla bottega di questi. Altre opere di Rembrandt vendute in quegli anni sono: la Negazione di Pietro (1660) e Tito in veste di San Francesco (1660), oggi al Rijksmuseum di Amsterdam.

La stessa galleria di Washington possiede un Ritratto di Innocenzo X (ca. 1650) proveniente dall’Ermitage ed eseguito da un pittore dell’ambito di Diego Velázquez. Infine, il famoso Banchetto di Cleopatra (1744) di Giovanni Battista Tiepolo fu venduto alla National Gallery of Victoria di Melbourne nel 1932.

Alcuni dipinti di Antoon van Dyck e Rembrandt venduti ad Andrew Mellon e ora conservati alla National Gallery of Art di Washington

Antoon van Dyck, Ritratto di Philipp, Lord Wharton, 1632, Washington, National Gallery of Art

Giovanni Battista Tiepolo, Banchetto di Antonio e Cleopatra, 1743-1744, Melbourne, National Gallery of Victoria

«Una “diagnosi” molto seria»

Un giorno, il direttore del Dipartimento d’Arte dell’Europa Occidentale dell’Ermitage, vide per caso sulla scrivania di uno dei responsabili dell’Antikvariat un elenco delle opere da vendere all’imminente asta. Tra queste c’erano: la Madonna Benois di Leonardo da Vinci (fino al 1914 di proprietà della famiglia Benois), Una padrona e la sua cameriera di Pieter de Hooch, la Giuditta di Giorgione e diversi altri capolavori di livello simile.

Questi dipinti rimasero in Unione Sovietica solo grazie alla Grande depressione (1929-1939) scoppiata negli Stati Uniti. La crisi economica mondiale fece crollare il mercato globale dell’antiquariato e l’attività dei sovietici saturò il mercato e portò al dumping. Inoltre, la vendita di oggetti d’arte non era più necessaria, poiché l’URSS era uscita dalla crisi economica degli anni Venti. Tuttavia, i proventi delle vendite ammontavano a non più dell’1% del reddito lordo e non ebbero un impatto significativo sul corso dell’industrializzazione, avendo però causato danni incolmabili al patrimonio culturale nazionale e alla reputazione internazionale del paese.

Dalle sale e dai magazzini dell’Ermitage erano stati selezionati e venduti 2.880 dipinti, di cui 350 opere di notevole valore artistico e 59 capolavori di importanza mondiale; alcuni dei quali si trovavano nel museo fin dalla sua fondazione da parte di Caterina la Grande nel secondo Settecento. Di conseguenza, la Russia perse tutti i quadri di Van Eyck e conservò solo poche opere di Raffaello, Botticelli e Perugino. La collezione di Rembrandt, un tempo la più ricca del mondo, dopo le vendite cedette il posto alle raccolte di Amsterdam e New York.

Ci volle molto tempo per rendersi conto dell’entità delle perdite, la cui percezione divenne sempre più acuta verso gli anni Cinquanta alla luce del crescente interesse degli studiosi sovietici per il Barocco, quando la verità delle parole di Calouste Gulbenkian fu avvertita con particolare amarezza: «Vendere qualcosa che è un tesoro nazionale è motivo di una “diagnosi” molto seria».

Leonardo da Vinci, Madonna Benois, 1478-1480, San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage