Proseguendo il viaggio dedicato alla riscoperta del Barocco nelle mostre del Novecento, il nostro blog propone questa settimana un focus di Massimiliano Simone sulla mostra d’Arte Italiana tenutasi a Parigi nel 1935

Ave, Cesare! L’arte italiana come strumento di propaganda

Parigi, 16 maggio 1935. Alla presenza del conte Galeazzo Ciano e del Presidente francese Albert Lebrun viene inaugurata a Parigi l’Exposition de l’Art Italien de Cimabue à Tiepolo. Ad accogliere il pubblico del Petit Palais, svuotato delle sue collezioni permanenti per l’occasione, è un busto di Benito Mussolini di Giuseppe Graziosi, affiancato dalle effigi antiche di Cesare e Augusto, e dalla musa della tragedia Melpomene. Chiara, fin dalle premesse, l’operazione di seduzione messa in atto dal regime fascista nello sfruttare il proprio patrimonio artistico a scopo propagandistico e nel restituire un’immagine precisa del Bel Paese in un revival degli splendori del passato volto a favorire i piani espansionistici del Duce. Per Francia e Inghilterra l’organizzazione di tali manifestazioni ricopre un ruolo cruciale nella salvaguardia dei propri interessi personali, a garanzia dei buoni rapporti intrattenuti con un alleato imprevedibile come l’Italia in un clima generale di instabilità politica e di crisi culturale ed economica.

La mostra del ’35 costituisce, infatti, la risposta francese a quella tenutasi appena cinque anni prima a Londra presso Burlington House (Exhibition of Italian Art 1200-1900), con l’ambizione di superarla per dimensioni e grandiosità. Si aggiunga, poi, che mentre la rassegna londinese è rivolta a una ristretta cerchia di specialisti, l’esposizione parigina mira al grande pubblico, puntando i riflettori sui grandi maestri e relegando a un ruolo marginale gli artisti secondari. Da ultimo, oltre alla pittura, nelle sale del Petit Palais trovano posto la scultura e le cosiddette “arti minori”.

Immagine della facciata del Petit Palais il giorno dell’inaugurazione. Parigi, il 16 maggio 1935

Veduta dell’ingresso del Petit Palais il giorno dell’inaugurazione la mostra. Parigi, 16 maggio 1935

Giuseppe Graziosi, Busto del Duce, 1933

Rinascimento come rinascita, ma non solo …

Ordinata per scuole e cronologie, la sezione della mostra dedicata all’arte antica, diretta da Ugo Ojetti, viene a comporre una sorta di manuale di storia dell’arte italiana dai Primitivi al Settecento, mostrando tuttavia evidenti squilibri tra secoli per ricchezza di informazioni e numero di opere esposte. Così come si è già verificato a Londra, grande protagonista della rassegna francese è infatti l’arte italiana del Rinascimento, utilizzata, ancora una volta, come strumento propagandistico nelle mani del regime, che voleva presentarsi come il suo naturale proseguimento.

Colpisce, pertanto, l’affermazione di Charles Sterling nella sua recensione alla mostra. Il critico sottolinea come l’arte barocca non venga affatto trascurata, poiché

Una locandina della mostra

depuis les Bolonais jusqu’à Tiepolo, il s’y montre grandiose et agité, lyrique ou dramatique, toujours vital

per poi evidenziare l’ascendente esercitato da un Fetti e da un Furini su artisti come Fragonard e Delacroix e, ancora, riconoscere in Magnasco e Guardi i precursori di Goya. Ma è sufficiente confrontare il catalogo della mostra francese del ’35 con quello della rassegna londinese del ’30 per rendersi di conto della validità di tali osservazioni. Benché nelle due esposizioni ricorrano i nomi degli stessi artisti, peraltro precedentemente rappresentati nella mostra fiorentina del 1922, il numero delle sale della mostra del Petit Palais dedicate all’arte italiana del Sei-Settecento sale ben a sei, contro le due di Burlington House.

Veduta con la Madonna dei Pellegrini e la Conversione di San Paolo di Caravaggio

Veduta della Sala XXI con le tele di Giambattista Piazzetta, Sebastiano Ricci e Giambattista Tiepolo

Un cambiamento di rotta?

La lista dei pittori esposti conta presenze di prim’ordine come i Carracci, Reni, Guercino, Domenichino, Albani, Maratta, Orazio Gentileschi, Baciccio, Magnasco, Giordano, Tiepolo, Canaletto, Bellotto, Rosalba Carriera, Pietro Longhi, … fino a Caravaggio, che trova degna celebrazione nelle tele provenienti dalla cappella Cerasi di Santa Maria del Popolo e nella Madonna dei Pellegrini della chiesa di Sant’Agostino, già esposte a Firenze nel ’22.

Considerato un periodo di decadenza, ultima evoluzione di quel Rinascimento che vede in Michelangelo, Leonardo e Raffaello i suoi più illustri interpreti, sono gli studiosi tedeschi e i contributi critici di Roberto Longhi a permettere la riscoperta, all’alba del Novecento, di un secolo fino a quel momento bistrattato e alla cui definitiva rivalutazione contribuiranno, in maniera decisiva, le mostre organizzate negli anni successivi. E se, ancora nella mostra del 1930, la sezione dedicata alla pittura del Seicento riceveva una fredda accoglienza dal pubblico inglese, l’esposizione parigina sembra segnare un’inversione di rotta nella volontà di concedere anche fuori dai confini nazionali – quantomeno nelle intenzioni degli organizzatori – maggior spazio a questa stagione artistica. A presiedere il comitato esecutivo è, del resto, quello stesso Ojetti “deus ex machina” della Mostra della pittura italiana del Seicento e del Settecento tenutasi a Palazzo Pitti nel 1922. E sebbene siano lontani i fasti dell’esposizione fiorentina, sembra ormai aperta la strada per il riscatto del Barocco italiano su larga scala.