Barocca-mente riprende dopo la pausa estiva con un post sul madrileno Casón del Buen Retiro, dalla sua creazione come sala da ballo ai tempi di Filippo IV (in pieno Seicento) fino ai nuovi utilizzi novecenteschi
Madrid, Casón del Buen Retiro, volta con l’affresco di Luca Giordano Allegoria del Toson d’Oro
Luca Giordano rende omaggio alla monarchia spagnola
Nell’estate del 1692, dopo un lungo viaggio organizzato fin nei minimi dettagli dal suo amico e committente Francisco de Benavides, allora viceré di Napoli, Luca Giordano (1634-1705) arrivò in Spagna. Accolto come un nemico dal competitivo pittore di corte Claudio Coello (1642-1693), ma con uno smisurato entusiasmo dal re Carlo II (1661-1700), Giordano realizzò in terra iberica alcuni dei più sbalorditivi cicli decorativi della sua intera carriera, tra cui quello nel Casón del Buen Retiro di Madrid.
Era il 1697 e con gli occhi ormai pieni della luce tersa di San Lorenzo dell’Escorial, di Aranjuez e della stessa Madrid, Giordano immortalò la gloria della monarchia asburgica. Il Casón, fatto realizzare dal predecessore di Carlo II, il padre Filippo IV (1605-1665), per essere una sontuosa sala da ballo per la propria corte, venne trasformato nelle sue funzioni e rinominato Sala degli Ambasciatori. Ciò che ammiriamo ancora oggi (dopo un accurato restauro cominciato nel 2001 e terminato nel 2008) è una ricca iconografia mitologica che anima la volta del salone, con figure che si muovono leggere tra cielo e nuvole come attratte da una forza invisibile che le conduce verso il sovrano spagnolo.
Insieme al Salón de Reinos (ex sede del Museo dell’Esercito) costituisce uno degli unici due elementi architettonici sopravvissuti del Palazzo del Buen Retiro, i cui lavori erano cominciati nel 1630, sotto la direzione del conte-duca di Olivares. Oggi ospita la Biblioteca e l’Archivio del Museo del Prado.
Da salone da ballo a sala espositiva del regime
L’edificio del Casón del Buen Retiro nel corso dei secoli ha subito danni dovuti a infiltrazioni, parziali crolli della facciata in seguito a una tempesta, ma anche maldestri restauri. Soprattutto tra il XIX e il XX secolo la sua storia risulta particolarmente accidentata. Nell’Ottocento e nel Novecento, infatti, le diverse destinazioni d’uso sembrarono ogni volta segnarne un recupero, ma anche quando fu vincolato a un utilizzo prettamente museale (dal 1877 era stato ormai convertito in Museo di Riproduzioni Artistiche), il Casón continuò a essere oggetto di indifferenza da parte delle istituzioni.
Dopo il colpo di grazia inferto con la lunga chiusura durante la guerra civile degli anni Trenta, un appassionato Enrique Lafuente Ferrari si prese a cuore il problema, fino a organizzare nel 1957 una campagna fotografica per portare a conoscenza del Ministero lo stato di abbandono in cui il Casón versava. Fu allora che si diede avvio a opere di restauro (in cui purtroppo l’affresco di Giordano subì terribili mutilazioni, ritenute necessarie per ampliare le lunette della volta) e il luogo fu convertito in una più moderna sala espositiva.
Una serie di mostre promosse dalla Direzione Generale di Belle Arti negli anni Sessanta portò a conoscenza del grande pubblico protagonisti del calibro di Velázquez, Berruguete e Zurbarán. Anche Sorolla, la pittura catalana dalla preistoria all’età contemporanea e l’iconografia di San Paolo nell’arte spagnola costituirono altrettante occasioni di divulgazione, se non di vero e proprio indottrinamento nei confronti del pubblico, concepite per esaltare una tradizione artistica spagnola che vedeva il suo apice nel Siglo de Oro, ma che puntava anche a una continuità con l’arte contemporanea.
Madrid, Casón del Buen Retiro, facciata principale
La prima mostra commemorativa: Velázquez y lo velazqueño
La mostra d’inaugurazione intitolata Velázquez y lo velazqueño. Exposición homenaje en el III centenario de su muerte (1660-1960) fu aperta al pubblico dal 10 dicembre 1960 al 23 febbraio 1961 e costituì il modello per le successive. Il notiziario franchista che registrò la chiusura dell’esposizione fissò l’attenzione soprattutto sul pubblico che affollava le sale, estasiato dalla visione della Venere allo specchio, prestata dalla National Gallery di Londra e per la prima volta a Madrid.
Le numerose opere del pittore sivigliano, così come quelle dei suoi maestri e dei suoi seguaci, dovettero adeguarsi a un allestimento piuttosto disorganico, in cui i dipinti non godevano di un adeguato respiro, privi oltretutto di pannelli esplicativi e di didascalie, in un’assoluta mancanza di attenzione verso la dimensione comunicativa. L’obiettivo da raggiungere era infatti molto diverso: si intendeva restituire la percezione collettiva di quell’anima spagnola che Velázquez, presentato come il più grande pittore del Siglo de Oro, incarnava. Negli anni in cui la Spagna stava uscendo dall’isolamento, la macchina della propaganda puntava anche su questo e il Prado vi collaborò attivamente.
Video della mostra Velázquez y lo velazqueño, NoDo, Filmoteca Española
Nel 1970 il Casón fu annesso definitivamente al Prado, accogliendo parte della collezione di quadri del XIX secolo. Ma il 24 ottobre 1981 un evento eccezionale lo trasformò in simbolo della transizione democratica che solo pochi mesi prima era stata messa in pericolo da un tentato colpo di stato: il Casón divenne il prezioso scrigno che accolse Guernica. La gloria della monarchia spagnola e la memoria dell’orrore della guerra poterono finalmente convivere in una ritrovata libertà. Questa però è un’altra storia.