Torna l’appuntamento con Barocca-mente, il nuovo post ci parla di rivalutazione del barocco e riviste veneziane:  scopriamo come i periodici lagunari giocarono un ruolo nella riscoperta dell’arte del Sei e del Settecento.  

Le riviste

Tra gli anni Venti e Trenta, due periodici mensili svolsero un ruolo fondamentale nel promuovere quella che Giuliana Tomasella ha definito una “febbrile rivalutazione” del Sei e del Settecento veneziano. Questi magazine erano la Rivista della Città di Venezia, edita dal Comune tra il 1922 e il 1936 e diretta da Rodolfo Galli e Mario Brunetti, e Le Tre Venezie, pubblicata dalla locale Federazione fascista tra il 1925 e il 1945 e diretta da Giovanni Giurati Jr.

Entrambi i periodici, oltre a includere notizie di vita quotidiana e promozione turistica, ospitavano contributi di specialisti di primo piano, con particolare attenzione alla storia dell’arte e alla storia veneziana. Tuttavia, rimasero privi di un chiaro orientamento editoriale, riflettendo in questo le caratteristiche della propaganda fascista, che mescolava piani e argomenti in un intreccio di venezianità e italianità che Mario Isnenghi ha descritto come “l’apporto specifico di San Marco alla cultura nazionalfascista”. 

Con gli anni, gli storici dell’arte veneziana, ormai influenzati dai criteri formalistici, manifestarono nuove e più chiare esigenze editoriali. Alle ricerche d’archivio e sulle fonti si affiancava infatti il metodo del confronto stilistico, che comportava l’uso sistematico della fotografia e segnava la nascita di riviste specializzate che riservavano alle immagini un ruolo centrale.

Se a livello nazionale nacquero periodici specializzati come Dedalo, fondato e diretto da Ugo Ojetti, in Veneto vi era ancora una grave carenza, parzialmente colmata dalle riviste Rivista della Città di Venezia e Le Tre Venezie. Nel 1939, un gruppo di studiosi, riuniti in commissione all’Ateneo Veneto, propose la fondazione di un Istituto di Storia dell’Arte a Venezia, che comprendesse il Museo Correr, una biblioteca specializzata, una fototeca e la redazione di una rivista dedicata alle arti figurative. Tuttavia, il progetto editoriale non ebbe seguito, tanto che solo nel 1947, sotto la presidenza di Giuseppe Fiocco e la direzione scientifica di Rodolfo Pallucchini, venne istituita presso la Fondazione Giorgio Cini la rivista Arte Veneta.

Giuseppe Biasuz, La scoltura illusionistica di Antonio Corradini e di alcuni suoi seguaci,  in “Le Tre Venezie”, dicembre 1929

Le Tre Venezie, numero speciale edito in concomitanza con la Mostra del Settecento Italiano del 1929

Gli interventi 

Alla rivalutazione del Sei-Settecento veneziano contribuirono esperti e studiosi di rilievo come i già menzionati Fiocco e Pallucchini, oltre ai quali vanno almeno ricordate figure di spicco come Giulio Lorenzetti, Laura Coggiola Pittoni, Giuseppe Biasuz, Wart Arslan, Gino Fogolari, Ugo Nebbia, Gino Damerini e Amadore Porcella. 

I loro contributi riflettevano un processo di approfondimento e riscoperta di due secoli conosciuti ancora parzialmente.

Questi studi potevano consistere in analisi dettagliate di singole personalità artistiche, trasformandosi in vere e proprie ‘monografie brevi’, nelle quali l’autore veniva messo in luce attraverso un approfondimento biografico, stilistico e documentario a cui seguiva un conciso catalogo delle opere. 

Altri articoli proponevano integrazioni al corpus di un determinato artista, novità documentarie, studi su specifici palazzi e i loro apparati decorativi, oppure analisi approfondite su particolari tipologie di manufatti.

Le riviste pubblicarono anche numeri speciali, come in occasione della mostra del Settecento Italiano del 1929, o in concomitanza con le esposizioni padovane della galleria “Le Tre Venezie” del 1943 dedicate alla Pittura del ‘600 e del ‘700 (febbraio-marzo) e alla Pittura barocca veneziana (maggio-giugno), per le quali Fiocco curò la pubblicazione di due cataloghi delle opere esposte.

Giuseppe Fiocco, Palazzo Pesaro, in “Rivista della Città di Venezia”, novembre 1925

Pittura, scultura e architettura barocche tra le pagine della Rivista di Venezia

La pittura del Sei e Settecento non fu l’unica arte ad essere oggetto di una rivalutazione critica, benché giocasse un ruolo di primo piano. Anche le arti sorelle, la scultura e l’architettura, e le arti congeneri, furono coinvolte in questo processo di riscoperta.

Giuseppe Fiocco, nel numero di novembre del 1925, firmava un corposo saggio su Ca’ Pesaro, dove era presentata una rivalutazione, scevra di encomi, dell’architetto Baldassarre Longhena, e veniva redatto un prospetto anche sulle decorazioni interne dei saloni. 

Nel numero di settembre del 1928, Amadore Porcella firmò una ‘monografia breve’ dedicata a Carlo Saraceni: l’artista veniva presentato come una figura di connessione tra la tradizione cinquecentesca veneziana e la Roma caravaggesca e il Seicento veneziano era descritto come una felice preparazione al Settecento.

Nel gennaio del 1932, Rodolfo Pallucchini concentrò la sua attenzione su Antonio Marinetti, detto il Chioggiotto, allievo di Piazzetta, rimasto fino a quel momento nell’ombra del maestro. 

Nello stesso anno, Pallucchini riportò alla luce la figura di Francesco Daggiù, detto Il Cappella, anch’egli della scuola di Piazzetta. Sebbene, parafrasando l’autore, egli traducesse in rococò di minuetto la serena dignità della pittura del maestro, non meritava certo l’oblio.

Nel maggio del 1935, Giulio Lorenzetti pubblicò un intervento sui modelli e bozzetti di terracotta e terra cruda di Giovanni Maria Morlaiter, acquisiti nel 1934 dalla Collezione Donà dalle Rose per il Museo Correr. Il contributo non si limitava a una mera presentazione del materiale acquisito dal museo; oltre alla catalogazione delle terrecotte, Lorenzetti ne approfittò per tracciare un profilo dell’artista, ripercorrendone la vita e l’opera, e offrendo un’analisi stilistica:

Ma non solo al Vittoria, ai modelli della scultura veneziana del tardo Cinquecento, mostra il Morlaiter di ispirarsi, ma altresì al Bernini, al sommo Bernini, mostrò egli non meno sovente di guardare, come ad uno dei suoi maggiori e naturali ispiratori: se ne ebbe però un Bernini tradotto e sentito con l’eleganza molle e graziosa di un settecentista

Amadore  Porcella,  Carlo Saraceni, in Rivista di  Venezia”, settembre 1928

Questi esempi mostrano come la  Rivista di Venezia  abbia contribuito significativamente alla riscoperta e alla valorizzazione di artisti e opere dell’età barocca, offrendo nuove prospettive e rivalutazioni critiche del Sei e Settecento.