Identikit e foto segnaletica (si fa per dire…)
Le pubblicazioni del blog Barocca-mente procedono con le presentazioni delle borsiste e dei borsisti di Quale Barocco?. Oggi è il turno di Massimiliano Simone, autore del progetto Ca’ Pesaro 1959: La mostra sulla Pittura del Seicento a Venezia.
Quando mi è stato chiesto di scrivere una breve presentazione per questo blog, superato l’imbarazzo iniziale e cercando di far fronte al mio senso di inadeguatezza nel dover parlare di me stesso, sono stato subito vinto dalla curiosità e, per prima cosa, sono andato a sbirciare le presentazioni dei miei “compagni di borsa”. Mi è sembrato subito chiaro che il filo rosso degli altri profili fosse il legame di ciascuno col Barocco, così ho iniziato a interrogarmi anch’io. Mi sono chiesto quando e come fosse nata la mia passione per l’arte barocca, e dopo qualche minuto di riflessione ho realizzato di non avere una risposta. La mia passione per l’arte è sempre stata un fatto istintuale per me e nasce, prima di tutto, dal mio bisogno di entrare in contatto con culture e epoche diverse…
Leggendo e curiosando
Massimiliano sulla terrazza del Centre Pompidou, Parigi
Non saprei dire quando abbia iniziato a sfogliare l’enciclopedia Capire la domenica, in campagna, davanti al camino, seduto sulle gambe di mia madre, o quando ancora ho chiesto per la prima volta a mio padre di raccontarmi la trama di una favola mitologica che magari avevo appena visto in un affresco o in un quadro. So solo che ho iniziato ben presto ad appassionarmi del ciclo arturiano, di monarchi, regge e castelli che sorgono così numerosi nella mia regione d’origine, il Piemonte.
Avevo forse 8 anni quando accettai di accompagnare mio padre a Torino per lavoro, chiedendogli in cambio di portarmi a visitare il Palazzo reale una volta terminato il suo appuntamento. Ricordo benissimo che era un pomeriggio di primavera, e quando entrai nel lungo corridoio su cui si aprivano gli uffici di quella che era la sede di lavoro dei miei genitori (il sole filtrava su un grande tavolo in legno attraverso le persiane socchiuse) mi accolsero tre suore chiedendomi come mai mi trovassi lì. Dopo aver espresso il mio desiderio per quel pomeriggio, una di loro si ritirò nel suo ufficio. Tornò dopo qualche minuto offrendomi un libro di grammatica e un altro color crema che recava inciso sulla copertina il titolo: Tesori del Piemonte. La reazione delle sue consorelle fu quella di esclamare: “Ma è un bambino! Potevi portargli delle caramelle”.
Sebbene siano trascorsi molti anni, mi capita spesso di ripensare a quell’episodio e mi piace pensare, alle luce di quello che è stato poi il mio percorso di studi, che forse sia stata proprio suor Ebe ad aiutarmi a capire e coltivare la mia passione per l’arte.
Caos organizzato
Ho letto e sfogliato molte volte quel libro per poi visitare, non appena si presentava l’occasione, i luoghi citati o riprodotti nel volume. Forse è per questo che quando si è trattato di individuare un soggetto per la tesi di laurea triennale la scelta è ricaduta, inevitabilmente, su un palazzo piemontese del Settecento situato nella mia città, Alessandria. E così ho dedicato le mie prime ricerche a Palazzo Ghilini, opera giovanile dell’Alfieri, il cui ciclo pittorico necessitava ancora di un’interpretazione iconografica d’insieme.
Con la tesi di laurea magistrale, e poi di dottorato, i miei studi si sono rivolti all’iconografia e all’iconologia, con un lavoro dedicato agli amori di Venere e Marte e al mito della rete di Vulcano. Ma ecco che, proprio durante questa ricerca, la “scoperta” dell’Accademia degli Incogniti e di certa produzione pittorica del Seicento veneziano mi ha nuovamente prepotentemente richiamato verso il Barocco. Credo proprio che la pittura seicentesca, vibrante e disordinata, contraddistinta da quella ricerca dell’effetto volto a suscitare stupore e meraviglia – gli storici dell’arte mi perdoneranno questa banalizzazione – rifletta un po’ il mio caos mentale.
Giacomo Piccini (su disegno di Francesco Ruschi), Impresa dell’Accademia degli Incogniti raffigurante il Nilo con il motto “Ex ignoto notus”
La pittura del Seicento a Venezia, catalogo della mostra, 1959. In copertina: Johann Liss, Visione di San Girolamo
Il futuro è nell’heritage
Per tali ragioni, quando si è presentata la possibilità di partecipare alla selezione per l’ottenimento di una borsa messa a disposizione dalla Fondazione 1563 ho pensato di cogliere l’occasione al volo, sottoponendo un progetto di ricerca che mi permettesse di lavorare su quella che è stata la prima mostra dedicata alla pittura veneziana del Seicento e approfondire le mie conoscenze sugli artisti attivi in Laguna ma anche, al contempo, focalizzarmi su questioni di carattere più prettamente museologico.
I diplomi di specializzazione e i periodi di stage trascorsi all’interno di istituzioni museali italiane e straniere mi hanno infatti permesso di apprezzare sempre più il lavoro della conservazione e della curatela, con la convinzione che l’heritage (concetto tanto usitato in Francia dove ho avuto modo di svolgere il mio dottorato e dove tuttora risiedo) rappresenti un aspetto fondamentale non solo per comprendere il passato, ma anche per progettare il futuro.