Procedono le presentazioni delle borsiste e dei borsisti di Quale Barocco? nel blog Barocca-mente. Oggi è il turno di Sara Concilio, che ci racconta del suo progetto sul dopoguerra napoletano.
Costruire su macerie
Non solo gli studi, ma anche il cinema e la tv (purtroppo con risultati in termini di qualità e accuratezza non sempre altissimi) negli ultimi anni hanno rivolto attenzione agli sforzi compiuti durante la Seconda Guerra Mondiale per la salvaguardia del patrimonio artistico, costantemente in pericolo, dileggiato, confiscato, trafugato, bombardato.
Quel che accadde a Milano come a Napoli, a Roma come a Torino, ha dell’incredibile: donne e uomini si adoperarono per «valicare la tempesta» e tramandare a tempi futuri le opere di cui erano custodi.
Chiesa di San Pietro Martire, Napoli,
bombardamento del 1° marzo 1943
Una responsabilità, della quale sentimmo costantemente il peso e l’impegno morale, non soltanto di fronte a noi stessi, alla nostra coscienza d’uomini e di studiosi, ma di fronte a quel mondo di civiltà e di tradizioni che, superando tanto grave crisi dell’umanità, un giorno avrebbe avuto il diritto di chiederci conto […] d’ogni minuto e di ogni energia spesi nel far buona guardia al patrimonio artistico affidato nelle nostre povere mani perché l’aiutassimo a valicare la tempesta e a tramandarsi ai tempi futuri.
Bruno Molajoli (1905-1985), Soprintendente alle Gallerie della Campania dal 1939 al 1960, ricoverò e protesse 60.000 opere. Ma cosa avvenne dopo?
A guerra finita si impegnò in un intenso lavoro di ricognizione, restauro, cura e riorganizzazione del vasto patrimonio diffuso sul territorio per restituirlo alla fruizione pubblica.
È alla storia di questi recuperi e riallestimenti che mi dedico con il mio progetto, riflettendo su come il momento di rinnovamento fu occasione per ripensare il barocco a Napoli, tra la controversa esposizione sulla pittura dei Tre secoli (1938) e le grandi mostre, anche internazionali, degli anni Sessanta.
Cataloghi delle mostre al Museo di San Martino:
Bozzetti napoletani del ’600 e del ’700, 1945;
Prima mostra didattica del restauro, 1952
Barocco anni Cinquanta
La riorganizzazione dei musei di Napoli passò per la riapertura del Museo di San Martino, il Duca di Martina, il Filangieri e per la cura del nuovo ordinamento della Quadreria dei Gerolamini.
Una serie di mostre a San Martino e Palazzo Reale, originate da esigenze di studio e tutela, a partire dal 1947, tra bozzetti e ritratti, rivitalizzarono lo studio dell’arte meridionale del Sei e Settecento. A queste si affiancarono una serie di Mostre di Restauri (1952-1960), declinate anche in chiave didattica, che restituirono il lavoro condotto negli stessi anni dal Laboratorio per la conservazione.
I cataloghi, insieme con gli altri scritti dei principali collaboratori di Molajoli, Raffaello Causa e Ferdinando Bologna, ci danno la cifra di una nuova stagione di ricerca che culminò con il riallestimento della Pinacoteca Nazionale con le collezioni farnesiane, borboniche e post-unitarie nella reggia di Capodimonte, sganciata dal Museo Archeologico. All’apertura, nel 1957, il museo è un racconto di storia della pittura per epoche e scuole, che presenta i grandi problemi delle unità storiche.
Capodimonte 1957. Sala 31. Maestri napoletani del Seicento
Capodimonte 1957. Sala 41. Luca Giordano
Una domanda si impone: quale barocco emerge nell’opportunità di disegnare un nuovo museo?
Questo approfondimento sul dopoguerra napoletano si incastra quindi nell’indagine condotta dal gruppo di lavoro “Quale barocco?” con l’obiettivo di mettere in luce quanto la tutela dell’ampio patrimonio territoriale e i nuovi allestimenti abbiano tenuto traccia degli studi sul barocco e ne siano al contempo divenuti strumenti centrali per l’avanzamento.
Una macchina del tempo e dello spazio: bozze, foto, ritagli… e un viaggio in America
Mi aiuta nella ricerca l’immersione nell’Archivio Molajoli, conservato a Napoli presso la Biblioteca di Castel Sant’Elmo, consegnato al Polo Museale della città dai figli del soprintendente nel 2011, dopo la donazione della biblioteca storico-artistica. Il fondo è costituito da materiale di vario tipo riguardante la sua carriera: contiene documenti, appunti manoscritti e dattiloscritti, articoli di giornale italiani e stranieri, fotografie, locandine, bozze di saggi e interventi ai convegni, cartoline, corrispondenze con storici dell’arte.
Tra i materiali spicca il racconto di un viaggio negli Stati Uniti svolto da Molajoli nel 1953 per aggiornarsi sulle tendenze museografiche più all’avanguardia. È descritto in quattro taccuini con appunti a matita e schizzi, note su illuminazione, didascalie, schedari e sui servizi che oggi vengono definiti aggiuntivi (come il servizio di custodia, il guardaroba e la sala del pronto soccorso). Si trattava di spunti per l’allestimento del museo di Capodimonte a cui in quegli anni stava lavorando con l’architetto Ezio De Felice, annotati durante la visita di 49 musei, collezioni, università e biblioteche da New York a Washington.
Sara in Biblioteca Molajoli
Gatto alla finestra, Rione Sanità, Napoli
Il mio viaggio verso Capodimonte ha invece un tragitto circolare.
A Napoli sono nata e ho studiato – spostandomi per il dottorato a Torino – e ci ritorno con questo progetto, in un museo ancora in trasformazione, che ancora elabora il barocco in nuove narrazioni.
Torno a Napoli, tra le carte d’archivio, tra un dipinto di Battistello (1578-1635) e uno di Gaspare Traversi (1722-1770), e l’immagine di un gatto che si affaccia all’imbrunire (reinventando parole di Longhi)
in un quadrivio all’altezza dei primi piani, nello sgocciolio delle lenzuola lavate alla peggio e sventolanti a festone… ripreso dalla verità nuda di Forcella o di Pizzofalcone.