Questa settimana, per Barocca-mente, Vincenzo Sorrentino approfondisce due mostre napoletane degli anni Ottanta – Civiltà del Settecento a Napoli e Civiltà del Seicento a Napoli – e, in particolare, il ruolo che, al loro interno, svolse la scultura.

In un recente articolo pubblicato su Il Giornale dell’Arte, Stefano Causa ha sottolineato il portato epocale della mostra Civiltà del Settecento a Napoli 1734-1799, svoltasi a Napoli e a Caserta tra il dicembre 1979 e l’ottobre 1980.

Il catalogo di questa esposizione, in due volumi e con cofanetto, divenne un oggetto irrinunciabile nelle case dei professionisti napoletani… e la mia non fece eccezione.

Tuttavia, per motivi anagrafici, lo avrei sfogliato e me ne sarei servito solo molto tempo dopo il suo ingresso in biblioteca, negli anni universitari.

Civiltà Settecento

Copertina del secondo volume di Civiltà del Settecento a Napoli del 1979

Civiltà Seicento Napoli

Copertina del secondo volume di Civiltà del Seicento a Napoli del 1984

Indici dei volumi di Civiltà del Settecento a Napoli (1979) e di Civiltà del Seicento a Napoli (1984)

Protagonisti e comprimari della scultura napoletana del Settecento

In tutta evidenza, la mostra ebbe un ruolo decisivo nell’accelerare gli studi su i Settecento napoletani e la loro divulgazione. Ad una coorte di studiosi, alcuni già affermati e altri che di lì a poco sarebbero divenuti integerrimi funzionari, furono assegnati gli argomenti di studio più disparati, nel tentativo di mappare ad ampio raggio le diverse e sfaccettate ‘civiltà’ o espressioni artistiche a cui alludeva il titolo-ombrello della rassegna: non solo le ‘classiche’ pittura, scultura e architettura, ma anche la cartografia, l’archeologia, le arti decorative, l’editoria, la scenografia, il teatro e la musica.

Il ritardo accumulato negli studi – e particolarmente in alcune discipline – era efficacemente rilevato da Raffaello Causa nell’introduzione al primo tomo, laddove questi scriveva:

“Come giustificare che prima di Longhi nessuno si fosse accorto della efficacia delle rappresentazioni di un pittore della tempra di Gaspare Traversi? […] Che tutto intero il capitolo della grande scultura settecentesca, quella in marmo come quella in stucco e in terracotta, o in argento, un capitolo così vivace, che non poteva in alcun modo passare inosservata, di chiesa in chiesa, di piazza in piazza, non avesse avuto grazia di una prima catalogazione complessiva e di un qualsivoglia, anche approssimativo, riferimento critico?”

La sezione dedicata alla scultura, curata da Teodoro Fittipaldi, direttore del Museo di San Martino, prendeva in considerazione diverse figure di scultori dai profili poco più che sbozzati, aggiungendo a Lorenzo e Domenico Antonio Vaccaro, Giacomo Colombo e Matteo Bottigliero, quelle di Francesco Pagano e Giuseppe Sanmartino. Diversi bozzetti, provenienti non solo da collezioni e musei napoletani, furono presentati in mostra, restituendo la prassi esecutiva degli scultori e, contemporaneamente, la fortuna dei loro modelli.

Si rese pure necessario lo studio di un contesto densissimo di opere scultoree come il palazzo e il giardino della Reggia di Caserta che vissero, proprio in quest’occasione, un approfondito scandaglio e sistematizzazione delle conoscenze. Pagamenti e documenti conservati nell’archivio della Real Casa permisero di ricondurre con sicurezza opere ad artisti, di attribuirne altre su base stilistica e pure di ricomporre contesti compromessi irrimediabilmente da interventi successivi.

In catalogo, Valentina Maderna e Flavia Petrelli fecero riferimento a un tipo di scultura cosiddetta “vanvitelliana” perché le proposte e gli interventi di Luigi Vanvitelli furono vincolanti e uniformarono i diversi esiti stilistici di scultori quali Gaetano Salomone, Andrea Violani e Paolo Persico.

Venere e Adone Caserta

Gaetano Salomone, Fontana di Venere e Adone, Caserta, parco della Reggia

Diana e Atteone Caserta

Tommaso Solari, Paolo Persico e collaboratori, Fontana di Diana e Atteone, Caserta, parco della Reggia

Bolgi dx

Andrea Bolgi e Giovanni Antonio Bertolino, Candelabro, Napoli, chiesa dei Santi Apostoli © Antonio Cozza

Pochi selezionatissimi pezzi per la scultura napoletana del Seicento

Con premesse assai diverse nacque, invece, Civiltà del Seicento a Napoli, svoltasi in solo due sedi museali napoletane tra l’ottobre 1984 e l’aprile 1985. Il terremoto del novembre 1980 e la morte di Raffaello Causa, ideatore e promotore del progetto originario, comportarono alcuni ripensamenti, eppure le ambizioni e i propositi di Causa non persero troppo vigore. La sezione dedicata alla scultura si presentava “molto ridotta”, come ammetteva Nicola Spinosa (avvicendatosi nel ruolo di orchestratore dell’operazione), ma non per mancanza di opere deputate a illustrare “quest’altro notevole capitolo della storia dell’arte a Napoli nel Seicento”. Viceversa, in virtù della necessità di leggere le sculture di Cosimo Fanzago e i paliotti di Dionisio Lazzari nel loro contesto originario, solo una ventina di sculture in bronzo, marmo o legno raggiunsero le sedi della mostra. In questo caso, oltre all’onnicomprensivo saggio di Oreste Ferrari, la materia era organizzata per brevi, ma accurate note biografiche, ciascuna seguita da schede sulle opere più rilevanti prodotte dal singolo artefice – scultore o scalpellino che fosse – e talune erano contrassegnate da un asterisco se presenti in mostra

Tra gli ospiti illustri figuravano i colossali candelabri bronzei di Andrea Bolgi, provenienti dalla chiesa napoletana dei Santi Apostoli, un busto ritratto di Giuliano Finelli da San Giovanni a Carbonara e una terracotta di Lorenzo Vaccaro, oltre a spettacolari busti reliquiario in argento frutto della collaborazione tra scultori e argentieri.

Fu certamente anche grazie a questo utile banco di prova che, sempre nel 1985, un numero monografico della rivista Storia dell’Arte fu dedicato alla scultura napoletana d’età barocca. Contributi sull’evoluzione della scultura funeraria, sulla presenza di scultori fiorentini a Napoli tra la fine del Cinque e l’inizio del Seicento e la presenza di stilemi toscani nella lavorazione dei marmi commessi, oltre ad un affondo monografico su Andrea Falcone, provarono a colmare il divario di conoscenze che ancora affliggeva la scultura barocca napoletana rispetto alla pittura coeva. Di lì a qualche anno, diversi di questi artisti avrebbero potuto vantare una propria monografia, ma senza il necessario lavoro di sintesi delle “mostre delle Civiltà” gli approfondimenti successivi difficilmente sarebbero stati realizzati.