Non sempre focalizzato sul racconto sacro, il presepe del Settecento passa per le abili mani di grandi scultori per entrare non solo nelle case dei napoletani, ma anche a corte. Con questo post di Barocca-mente copriamo come arriva a noi quest’arte che non ha mai smesso di vivere, mutevole e ricomponibile.


«Te piace ‘o presepio?»

Tra le più celebri tragicommedie di Eduardo De Filippo, Natale in casa Cupiello a partire dal 1931 mette in scena, attraverso l’espediente del presepe, la difficoltà dei rapporti generazionali e la tensione fra modernità e tradizione.

Aprendo le porte delle case dei napoletani, l’opera – che conosce uno straordinario successo – racconta una pratica artigianale secolare, che ancora oggi attira nelle vie del centro storico di Napoli visitatori da ogni dove non solo nel periodo natalizio.

Via San Gregorio Armeno, Napoli

Dalle radici delle sacre rappresentazioni, l’arte presepiale si sviluppa a Napoli soprattutto attraverso la specializzazione di figure in terracotta e conosce una stagione felicissima nel Settecento, quando la disposizione fissa cede il passo a quella mobile e la rappresentazione sacra raccoglie elementi profani e popolari.

Così il presepe diviene un diletto che anima anche le case, da montare e rimontare, accrescere e diversificare senza limiti, grazie a una produzione per cui sembra sufficiente l’abile mano di modellatori artigiani, i tantissimi “figurari” i cui nomi si perdono nel tempo.

I più celebri specialisti, come Giuseppe Gori e Lorenzo Mosca, plasmano favoriti da un crescente collezionismo.

Sono poi diversi i grandi artisti che, tra gli impegni delle importanti commissioni scultoree nelle chiese e nei palazzi di Napoli, si cimentarono anche in questa pratica, “minore” nella dimensione ma non nella qualità, riuscendo a esprimersi con grande libertà nella creazione di prototipi, poi riprodotti più volte.

Lorenzo Mosca, Suonatore di mandola, Napoli, Museo Nazionale di San Martino, fondo Ricciardi

Lorenzo Mosca, Suonatore orientale, Napoli, Museo Nazionale di San Martino, fondo Ricciardi

Artisti presepisti

Padroneggiano le fatiche del marmo o del bronzo così come la modellazione dei “pastori” (termine col quale sono indicate tutte le varietà di soggetti del presepe) Lorenzo e Domenico Antonio Vaccaro, Francesco Pagano, Matteo Bottiglieri, Francesco Celebrano e l’autore del celeberrimo Cristo velato, Giuseppe Sanmartino (caposcuola di numerosi altri specialisti nel settore), contribuendo alla definizione di tipi fissi, di ceti e di “affetti” di larga diffusione, divenuti di tradizione.

Giuseppe Sanmartino, Angelo reggifiaccola, marmo di Carrara, Napoli, Chiesa dei Girolamini, 1787 ca.

Giuseppe Sanmartino, Angelo presepiale, testa in terracotta policroma, arti e ali in legno, corpo in filo avvolto in stoppa, tessuti vari, New York, The Metropolitan Museum of Art

Presepe di corte, Reggia di Caserta

Sacro e profano

Prima “a tutto tondo” e poi ricoperte di vestiti di stoffa, le figure che arrivano fino ai nostri giorni sono perlopiù isolate e disperse in numerose collezioni private, e dunque prive delle variazioni compositive e della scenografia effimera in cui erano collocate, che pure doveva richiamarsi al paesismo pittorico del Sei e del Settecento. Ciò nonostante, ci mostrano una parte di quella che doveva essere una rappresentazione curata da più maestranze, addette alla scenografia naturalistica o architettonica, alle sculture, ai “finimenti” (i dettagli come frutta e verdura), agli animali o alle “vestiture” e organizzate da uno specialista a regolare l’insieme.

Dalla liturgia al teatro sacro e alla commedia dell’arte, dall’opera di Giambattista Basile alla Cantata dei pastori, il presepe raccoglie gli umori del tempo e la sua scenografia si adegua ai fatti recenti, alle feste di corte, alla scoperta di Ercolano e Pompei, con gruppi disposti interpretando liberamente il copione della storia sacra, contaminato da elementi profani e popolareschi.

Dai primi decenni del Seicento vengono introdotte ambientazioni come la taverna (simbolo di ospitalità e pretesto per attualizzare il racconto evangelico), offrendo agli spettatori uno spazio domestico e meno sacro. Nel secolo successivo, personaggi legati al popolo come il pastore con la zampogna, la contadina, l’oste, il vecchio con la gobba, la nobil dama vanno ad adorare Gesù, al pari di esponenti di un mondo più spettacolare come l’Oriente dei magi e del loro seguito.

Il presepe alla prova del Novecento

Alla scultura nel presepe napoletano del Settecento è dedicata una mostra a Palazzo Reale nel 1950, a cura di Bruno Molajoli, che sottolinea l’importanza che il presepe assume come fatto culturale, come documento e specchio di un tipico momento della vita e del gusto settecentesco.

Nella crescente complessità di aggruppamenti e molteplicità di episodi, ebbe modo di pigliar dominio la gesticolante vitalità di un popolo: come esso era, o come amava immaginarsi, che fa lo stesso. La scena della Natività finisce col diventare il pretesto una panoramica orgiastica visione, che la circonfonde e quasi la soffoca col fasto e l’irruenza fiabesca della simultanea rappresentazione aneddotica, tutta racconto e cicaleccio, fra il sacro e il profano, fra il rito e la festa.

L’iniziativa presenta i pastori senza scenografia e posti in vetrine all’altezza dello sguardo del visitatore per evidenziare il modellato delle figure e avvicinarli alle sculture monumentali create dagli stessi artisti, con l’obiettivo di dare una sistemazione filologica e critica a un fenomeno a lungo rimasto nell’ambito della tradizione verbale e della conoscenza di collezionisti e amatori.

Le difficoltà attributive, dovute alla scarsa documentazione e ai frequenti “mimetismi” stilistici tra gli autori, portano alla necessità di un catalogo che contenga un repertorio di notizie biografiche e bibliografiche sugli artisti e modellatori napoletani e una selezione di riproduzioni di pezzi e particolari caratteristici, raggruppati secondo le attribuzioni.

Tra i primi tentativi di affrontare il tema dopo l’Esposizione del 1877 e gli studi di Antonio Perrone e Luigi Correra, il catalogo apre la strada a Fausto Nicolini che qualche anno dopo pubblica Il presepe napoletano settecentesco (1956) e Scorribande presepiali (1957), collegandolo più strettamente al teatro semovente delle marionette e agli apparati della vita quotidiana del Sei e Settecento nei paesi italo-spagnoli, ovvero processioni, parate, cortei, funerali e funzioni sacre.

Gli studi sulla scultura collegata alla pratica presepiale si fanno più approfonditi negli anni Sessanta con le indagini attribuzionistiche di Franco Mancini e le monografie dedicate a grandi artisti come Sanmartino e Celebrano.

Dal catalogo della mostra La Scultura nel presepe napoletano del Settecento, a cura di Bruno Molajoli, Napoli, Palazzo Reale, 1950

Gennaro Borrelli, Sanmartino scultore per il presepe napoletano, Napoli 1966

Elio Catello, Francesco Celebrano e l’arte nel presepe napoletano del ’700, Napoli 1969

Nella grande mostra Civiltà del Settecento a Napoli 1734-1799, tenutasi a Napoli e a Caserta tra il dicembre 1979 e l’ottobre 1980, il presepe è presentato in una ricostruzione con pezzi provenienti da diverse collezioni private (Accardi, Catello, Pucci) come voce tipica della cultura artistica del secolo, seppure giunta a noi con sovrapposizioni temporali impossibili da distinguere:

come in una ipotetica tela che comprenda insieme passi autografi di Giordano, di Traversi, di Angelini e di Palizzi, insieme a quelli di altri cento anonimi, così in un qualsiasi raggruppamento noto di figurine presepiali (anche nei grandi presepi, il Cuciniello e il Ricciardi) convivono opere distanziate nel tempo e nel gusto; le distinzioni non sarebbero neppure tanto difficili da percepire, solo che le si voglia cogliere, e che quindi si rinunci una volta per sempre alla enigmistica delle attribuzioni tradizionali, non documentate, e si faccia ricorso alle ragioni dello stile.

Quello del Settecento viene analizzato nella sua accezione cortese da Raffaello Causa, che lo distingue dal vecchio presepe di chiesa, celebrativo, connesso alle manifestazioni liturgiche natalizie.

Il presepe cortese settecentesco – chiarisce Causa – è estraneo ai fatti della fede: è «esperienza mondana, sostanzialmente disincantata e laica, giuoco alla moda della corte, dell’aristocrazia e dei borghesi ricchi, il presepe del Palazzo, che è hobby, disimpegno di élite cui si attende nelle ore sfaccendate del giorno, come faceva re Carlo», per fare sfoggio di essere informati nei più svariati campi dell’attualità. Questa tipologia, che quindi varia annualmente e si rinnova all’infinito, accentua la contrapposizione tra eletti (angeli, magi, nobili) e reprobi (le classi umili), sfociando nel grottesco.

Si tratta di una chiave interpretativa che mette da un lato l’esaltazione del corteo regale, della casta, con fogge orientali ed animali esotici, dall’altro la satira sul “cafone”, sul contadino provinciale o sull’emarginato, a cui si aggiungono, più tardi, attenti documenti etnografici, con figure come la “donna di Genzano” o il “villano di Comino”, che accompagnano il diffondersi di pubblicazioni sui “costumi” del Regno di Napoli.

Presepe Cuciniello, Napoli, Museo Nazionale di San Martino

Ancora oggi il presepe napoletano attinge a un patrimonio di esperienza secolare e riesce ad attualizzarsi, usando la lente della satira per rappresentare il popolo, ma anche la società dello spettacolo e il potere.

Bottega in Via San Gregorio Armeno, Napoli