Questa settimana Barocca-mente si dedica alla riscoperta novecentesca della pittura di paesaggio del Seicento ripercorrendo, tra Bologna e Napoli, alcune delle mostre affrontate durante le proprie ricerche per il progetto Quale Barocco? da Valentina Balzarotti, Giulia Iseppi e Vincenzo Sorrentino.

Domenichino e il paesaggio ideale

Nella rivalutazione della pittura di paesaggio del Seicento un ruolo decisivo è giocato dall’esposizione intitolata L’ideale classico del Seicento in Italia e la pittura di paesaggio, tenutasi a Bologna nel 1962 e parte del ciclo delle Biennali di Arte Antica curate da Cesare Gnudi. L’obiettivo scientifico della mostra era quello di dimostrare che la matrice del classicismo romano ed europeo era la pittura bolognese di Annibale Carracci e di alcuni suoi collaboratori che si contraddistinsero in tale campo, come Domenico Zampieri detto Domenichino e Francesco Albani. La mostra riservava un ruolo determinante al cosiddetto paesaggio ideale nato al principio del Seicento e si qualifica per precise caratteristiche: i personaggi sono di dimensioni ridotte, la natura è verosimile, gli echi della pittura veneta si sposano con i modelli fiamminghi e con i brani di paesaggio della scuola raffaellesca in cui compaiono architetture.     .

Il ruolo di iniziatore non poteva che spettare ad Annibale, il quale comincia la vicenda del paesaggio moderno in Italia come scoperta della poesia della campagna romana. (Gian Carlo Cavalli, 1962)

Dal più giovane dei Carracci il testimone di questa storia passa a Domenichino per arrivare a Nicolas Poussin. Il terreno della rivalutazione di Zampieri era stato dissodato dallo studioso inglese John Pope-Hennessy nel 1948 con la pubblicazione del catalogo dei disegni del maestro nelle collezioni reali inglesi, ma nell’esposizione bolognese urgeva recuperare questa personalità proprio in relazione al paesaggio. Tra le opere più rappresentative in mostra compariva Apollo che uccide la ninfa Coronide, un affresco staccato, parte di un ciclo dedicato al dio del sole in una delle stanze della villa di Frascati del cardinale Pietro Aldobrandini. Il dipinto era un prestito di eccezione della National Gallery di Londra, che permetteva di presentare la concezione del paesaggio di Domenichino, prossima ad Annibale ma da lui indipendente e che si esprimeva in una

intuizione del paesaggio che vive la sua esistenza eterna, ideale; può evadere formule tradizionali, e prendere nuovo slancio. Basta anche un albero solo a costruire un intero paese; l’albero che si fa paesaggio. (Gian Carlo Cavalli, 1962)

Domenichino_Apollo_National Gallery Londra

Domenico Zampieri detto Domenichino, Apollo che uccide la ninfa Coronide, Londra, National Gallery

Francesco Albani, Paesaggi con Erminia fra i pastori, Roma, Galleria Colonna

La consacrazione di Francesco Albani paesaggista

L’altro indiscusso protagonista della mostra del 1962 fu, come anticipato, Francesco Albani, per quantità e qualità delle opere presentate.

Rispetto al conterraneo Zampieri, Albani poteva vantare, all’aprirsi della mostra, una serie di studi specifici. Era solo il 1934 quando Heinrich Bodmer faceva il suo nome fra gli allievi di Annibale Carracci per la partecipazione alla serie delle cosiddette Lunette Aldobrandini (Roma, Galleria Doria Pamphilj); il suo contributo alla storia della pittura nei primi anni del Seicento era noto grazie alla pubblicazione degli affreschi di Palazzo Verospi e della cappella Herrera, e grazie agli affondi intelligenti di Donald Posner sulla scuola di Annibale.

Mentre Domenichino veniva ammirato per la resa dei suoi paesaggi, in Albani questi spesso passavano in secondo piano per esaltare quella sua particolare e delicata interpretazione della poesia mitologica antica.

Alcune opere in mostra a Bologna contribuirono invece a rinvigorire l’idea di Albani come raffinato interprete del genere paesaggistico: per esempio i due cosiddetti Paesaggi tasseschi della Galleria Colonna di Roma, che si sviluppano sullo sfondo di due episodi di Erminia fra i pastori. Su queste opere gli schedatori non poterono che soffermarsi sull’“apertura enorme e silente del paesaggio” che sovrasta la storia e viene visto finalmente alla pari degli alti esiti di Domenichino.

A Castiglione-de Leone Problem (semicit.)

Annibale, Domenichino, Albani e Guido: è assai più facile associare al genere del paesaggio un pittore emiliano piuttosto che un pittore napoletano del Seicento. Il più famoso rappresentante partenopeo del genere – Salvator Rosa – produsse paesaggi soprattutto nella fase giovanile della sua attività, ma visse gran parte della sua vita lontano da Napoli e, per di più, ebbe anche un rapporto piuttosto conflittuale con i paesaggi e le battaglie, rivendicando spesso di essere e di voler essere considerato un ‘pittore di storia’. Viceversa, come spesso accadde nella storia della pittura napoletana del Seicento, importanti novità giunsero da artisti forestieri.

Nella mostra di Washington del 1983 sulla pittura napoletana del Seicento, attraverso un inedito accostamento nell’allestimento, si dava conto del ruolo giocato da Giovanni Benedetto Castiglione, detto il Grechetto, sull’ancora oscuro Andrea de Leone. Il primo, originario di Genova, dopo alcuni anni a Roma, transitò per Napoli nel 1635; il secondo si formò nelle botteghe di Belisario Corenzio, pittore tardomanierista napoletano, e di Aniello Falcone, l’“oracolo delle battaglie”. Si deve a un’iniziativa di Sheldon Grossman, curatore della National Gallery of Art di Washington, l’idea di inserire il Viaggio di Giacobbe del Grechetto nella decima sala della mostra. Firmato e datato 1633, il dipinto pre-datava, quindi, il soggiorno napoletano del pittore ed era già noto ad alcuni perché già presentato nella mostra di Princeton del 1980. A questo veniva affiancato un quadro con lo stesso soggetto, siglato da de Leone e già in mostra a Londra, che, presentando la medesima composizione, risultava una derivazione dal quadro del Grechetto.

Il rapporto tra i due pittori s’inseriva nella fortuna napoletana del paesaggio secondo il fortunato modello di Poussin. Per primo Anthony Blunt nel 1939 si era avventurato nel Poussin-Castiglione Problem con un determinante articolo e diversi studi successivi sulla grafica del genovese; gli rispose, in seguito, Ann Percy con la sua tesi di dottorato e con una mostra sul Grechetto nel 1971 a Philadelphia. Infine, la mostra di Washington fu l’occasione per giustapporre, finalmente, Grechetto e de Leone e per dimostrare come non solo bolognesi, francesi e fiamminghi avessero scosso l’ambiente artistico napoletano del Seicento, ma che anche un genovese avesse fatto la sua parte.

Grechetto Giacobbe

Giovanni Benedetto Castiglione, Viaggio di Giacobbe, 1633, Vienna, Kunsthistorisches Museum

De Leone Giacobbe

Andrea de Leone, Viaggio di Giacobbe, post 1633, New York, collezione privata