Nel nuovo post di Barocca-mente, esploriamo come la storia della Serenissima sia stata investita di nuovi significati tra le due guerre mondiali: scopri come la mostra del 1937 a Ca’ Rezzonico abbia contribuito ad alimentare il mito di Venezia a fini propagandistici. 

Il mito al servizio della propaganda

Durante il periodo tra le due guerre, Venezia ha vissuto un significativo processo volto a caricare di nuovi significati e attualizzare il mito della sua grandezza e identità.

Questo fenomeno, analizzato dagli storici, tra i quali si ricordano Mario Isnenghi e Marco Fincardi, ha radici profonde che precedono l’avvento del fascismo. Uno dei principali artefici di questa rinascita del mito veneziano fu Gabriele D’Annunzio, che scelse Venezia come punto di partenza ideale e fisico per la sua impresa fiumana.

Da un lato, Venezia cercava di riaffermare il suo status all’interno del Regno d’Italia, in coerenza con la sua gloriosa storia. Dall’altro, il “nazionalismo adriatico” prima e il fascismo poi, sfruttarono la storia della Serenissima per sostenere le loro ambizioni imperialiste sull’Adriatico — tornato a essere chiamato Golfo di Venezia — e sul Mediterraneo orientale.

Giornale Luce del 1935. La Festa delle Marie venne ripristinata dal governo fascista nel 1933 (era stata soppressa dalla Repubblica di Venezia nel 1379)

Il ponte del littorio, edito da Zanetti, 1934. Si può osservare l’uso alternato di simbologia del regime e veneziana: il fascio littorio e la ruota sono alternati con il leone marciano e il ferro di prua della gondola

Industria della Memoria

Accantonata l’immagine decadente de La morte a Venezia di Thomas Mann, le élite locali iniziarono a promuovere il progetto della “Grande Venezia“.

Questa visione mirava a rivendicare il ruolo mediterraneo della città, richiamandosi al suo passato imperialista e mettendo in evidenza una rinnovata centralità commerciale e industriale grazie ai progressi della modernità.

Tra i simboli di questa trasformazione spiccano l’area produttiva di Porto Marghera e il Ponte Littorio (oggi Ponte della Libertà), che rappresentano una Venezia proiettata oltre la laguna, verso una dimensione globale, mediterranea e moderna.

Il demiurgo per le questioni culturali fu il Conte Giuseppe Volpi, politico e imprenditore, che dal 1927 presiedette il comitato direttivo del Museo Correr. Negli anni Trenta, si moltiplicarono gli eventi mondani e culturali che rievocavano le glorie della Serenissima.

Tra questi, la riproposizione di antiche feste e l’organizzazione di mostre d’arte come Il Settecento Italiano (1929), Tiziano (1935), Tintoretto (1937) e Veronese (1939).

Si inaugurarono nuovi allestimenti museali, come il Museo del Vetro di Murano (1932), e si crearono nuove sezioni indipendenti, come il Museo del Settecento Veneziano di Ca’ Rezzonico (1936). Riviste come Le Tre Venezie e la Rivista di Venezia dedicarono numeri speciali o articoli a queste celebrazioni.

Luca Carlevarijs, Il Bucintoro in partenza dal bacino di San Marco, Los Angeles, Getty Museum

 La mostra de Le feste e le maschere veneziane a Ca’ Rezzonico

Il 6 maggio 1937, a Ca’ Rezzonico, venne inaugurata la mostra de Le feste e le maschere veneziane, curata da Giulio Lorenzetti sotto gli auspici del Podestà Mario Alverà e di Giuseppe Volpi. L’esposizione, suddivisa in nove sale, si sviluppava al terzo piano del palazzo, all’epoca destinato alle mostre temporanee e allestito con vetrine dal gusto modernista e leggere decorazioni a stucco sui soffitti. Nonostante l’ampio arco temporale coperto dall’esposizione, che intendeva percorrere le feste di oltre mille anni di storia repubblicana, la maggior parte degli oggetti esposti risaliva al XVIII secolo. Oltre ai dipinti, la mostra ospitava disegni, stampe, maschere e abiti. Lorenzetti spiega le ragioni di questa preminenza del Settecento:

Ma fu il Settecento, come dappertutto, così anche a Venezia, e a Venezia forse più che altrove, il gran secolo della pittura di vedute, della pittura aneddotica, di vita e di costume. E come sono le vedute di Venezia fra le prime a presentarsi e a diffondersi nel mondo, così nel Settecento sono fra quelle che più si desiderano e si ricercano. Da Luca Carlevaris […] fino ad Ippolito Caffi, uno degli ultimi epigoni, morto a Lissa nel 1866, si dilunga ininterrotta la catena che ricollega due secoli di veneziana pittura, in cui si perpetua e si esalta, oltre il tramonto stesso di Venezia, della sua gloria e della sua storia, l’incanto immortale del suo volto, la rievocazione stupenda delle sue feste, sagre di popolo e riti di governo, cerimonie di religione e spettacoli di fantasia nel suo mondo di luce e di colore

Francesco Guardi, Il Bucintoro in navigazione verso il Lido nel giorno della Sensa, Parigi, Musée du Louvre

Sala n. 50, detta dei costumi, terzo piano di Ca’ Rezzonico, come appariva con l’allestimento degli anni Trenta

Alessandro Mauro (inv.), Andrea Zucchi (sculp.), La peota raffigurante la Cina condotta in trionfo dall’Asia, Venezia, Ca’ Rezzonico, Gabinetto dei disegni e delle stampe

Nell’introduzione al catalogo, Lorenzetti esponeva l’obiettivo della mostra: narrare il complesso cerimoniale civile marciano, da cui emergevano i caratteri delle “feste nazionali di un popolo” e gli strumenti per comprenderne l’indole e lo spirito. Con una chiara esclusione del folklore, la mostra si concentrava invece sulla ritualità civile e sulle cerimonie di Stato, presentandole come esempi di devozione patriottica.

Una delle cerimonie maggiormente rappresentate in mostra era quella della Sensa, il sontuoso matrimonio di Venezia con il Mare. Ogni anno, nel giorno dell’Ascensione, il Doge, la Signoria e i dignitari stranieri salivano a bordo del Bucintoro per gettare un anello in mare, simboleggiando il dominio veneziano sull’Adriatico. Questo rito, immortalato in numerosi capolavori di Antonio Canaletto, Francesco Guardi e Michele Marieschi, incarnava il possesso dell’Adriatico, tema tanto caro alla propaganda del regime. Le radici mitiche di questa festa risalivano al 1177, anno della pace di Venezia, quando attorno al Doge Sebastiano Ziani si riunirono il Papa e l’Imperatore. Non era difficile l’attualizzazione del mito: Il Duce, dal 1929 in armonia con il Papa, e il Re-Imperatore prospettavano per Venezia un nuovo dominio dell’Adriatico.

Francesco Guardi, Le feste del giovedì grasso in Piazzetta San Marco, Parigi, Musée du Louvre