Le pubblicazioni del blog Barocca-mente proseguono con le presentazioni delle borsiste e dei borsisti di Quale Barocco? Oggi è il turno di Ilaria Serati, autrice del progetto su Il ruolo di William Suida (1877-1959) e la genesi di una cultura figurativa del Barocco in America negli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento.
Milano e il Barocco…?
Quando viene nominata Milano, credo che a nessuno venga in mente un’immagine di un’opera d’arte barocca: forse, piuttosto, la zona di City Life di Isozaki, Hadid e Libeskind oppure, per i più tradizionalisti, il Duomo; o volendo proprio scegliere una chicca, la Basilica di Sant’Ambrogio.
Allo stesso modo, ripercorrendo le diverse fasi che hanno costruito il mio immaginario, devo riconoscere che il Barocco vi entrò sostanzialmente con gli studi della laurea magistrale all’Università Statale di Milano. Prima, però, riesco a individuare alcuni precisi momenti che, inconsciamente, mi hanno portata a scegliere di studiare la storia dell’arte in generale: come quel gioco delle prime pagine della Settimana Enigmistica, in cui si dovevano unire i puntini in ordine progressivo con una linea per farne risultare una figura.
Il potere del matriarcato
Giovanni Battista Crespi detto il Cerano, Crocifissione, 1628, Seminario di Milano, Venegono Inferiore (VA)
I primi numeri che unirei con una linea retta sono rappresentati dalle figure femminili della mia famiglia. Una delle due nonne, da un suo viaggio a Tivoli, mi aveva portato un libriccino su Villa d’Este e Villa Adriana com’erano, con dei fogli lucidi che si potevano sovrapporre per mostrare le diverse fasi archeologiche dei monumenti più importanti: forse qualcuno ricorda la serie, io non sono stata capace di ritrovarla, nemmeno su internet. Avevo appena iniziato a leggere e rimasi impressionata dalla policromia del Teatro Marittimo. Iniziai allora a fagocitare tutte le possibili collane sulle civiltà della storia, sulla mitologia, sui monumenti.
L’altra nonna e la mia prozia, invece, nei loro salotti avevano appese alle pareti delle riproduzioni che veneravano con un senso di sacralità artistico-religiosa tipica della loro generazione: una era la Crocifissione del Cerano del Seminario di Milano, l’altra la Madonna di san Girolamo del Correggio. Quando, anni più tardi, vidi i quadri dal vivo, nella mia mente riaffiorarono queste immagini, all’istante.
Infine, chiaramente, mia mamma ha avuto un ruolo fondamentale. Ogni breve vacanza era una scusa per portare tutta la famiglia in giro per l’Italia, ma non a Firenze, Roma o Venezia, bensì in Val d’Elsa, a Triora, a Tarquinia o per le colline umbre. E quanto ci aveva fatto camminare su e giù per Parigi, con mia sorella che aveva appena compiuto tre anni (Disneyland però ce la concesse, alla fine)!
Odio e amore
Pier Paolo Pasolini, Medea, 1969, manifesto pubblicitario
Di conseguenza, scegliere il liceo classico, Scienze dei Beni Culturali e Storia dell’Arte fu sì assecondare una connaturale direzione, ma anche definirla.
A dire il vero, alle superiori tentennai, indecisa su scienze storiche, travolta dall’incontro di uno di quei professori maestri di vita. Lui stesso però, per l’esame di maturità, mi suggerì una tesina sull’ambiguo rapporto tra letteratura, arte e regime fascista, che fu sufficiente a farmi tornare sulle mie idee.
Anche l’allora odiato professore di latino e greco, col senno di poi, ha gettato dei semi. In un caldissimo maggio dell’ultimo anno, ci portò in gita a Siracusa per assistere alle rappresentazioni delle tragedie greche; e di ritorno a Milano ci fece vedere, proiettato su un muro scrostato dell’aula, la Medea di Pasolini. Proseguii autonomamente con l’Edipo Re, La Ricotta e Il Vangelo secondo Matteo: sono convinta che citarli al temutissimo esame di storia dell’arte moderna della triennale, per il quale nessun tipo di preparazione sembrava mai sufficiente, mi permise di superarlo.
Il disegno prende forma
Ilaria in Accademia Carrara
Tutti questi stimoli confluirono nella peculiare scelta di studiare la storia della letteratura artistica e della critica d’arte, quel calderone del percorso universitario che è il settore scientifico disciplinare L’ART/04.
Conclusa la laurea magistrale, ho avuto occasione di svolgere due tirocini in ambito museale, all’Accademia Carrara di Bergamo e a Palazzo Ducale di Mantova. Sono state esperienze estremamente formative, nelle quali ho sperimentato per la prima volta i risvolti pratici degli studi, il contatto fisico con gli oggetti e con le pareti di un museo.
Durante quell’anno, ho maturato l’idea di provare un dottorato di ricerca e ho vinto alla Sapienza la borsa di studio proprio per Museologia e Critica Artistica: l’ho interpretato come un segnale, dettato anche da motivi personali perché mio marito, al tempo, si era da poco trasferito a Roma per lavoro. Da “asburgica” quale sono, come mi definisce un caro amico, purtroppo non sono riuscita a resistervi a lungo, ma quella città tanto mi ha dato in termini personali, di relazioni, nonché di Barocco: non nella visione turistica transitoria, ma una lentamente porosa e pregnante.
Dopo tre anni e mezzo, un altro trasloco per tornare a Milano e una figlia, ho concluso finalmente il dottorato a settembre 2021, discutendo un progetto di ricerca sul contributo di Giacomo Carrara alla letteratura artistica: nulla è stato casuale.
L’ultimo puntino, spero non conclusivo della sequenza, è la mia partecipazione al programma Quale Barocco?, per il quale ho presentato un progetto sul ruolo dello storico dell’arte viennese William Suida nella fortuna del Barocco in America, con l’intento di indagare le relazioni con il mercato antiquario e i collezionisti. Anche qui rintraccio stimoli, più o meno inconsci, che mi hanno portato a sceglierlo come argomento di ricerca. Ma questa sarà la seconda puntata.