Il saluto al blog Barocca-mente di Bruno Carabellese, col suo ultimo post in cui racconta l’esperienza di ricerca sulla fortuna novecentesca del Barocco fiorentino tra Italia e Stati Uniti.
Un commiato doloroso
Addio e per sempre addio, Cassio!
Se ci rincontreremo, avremo il sorriso sulle labbra.
Altrimenti, valga questo come ottimo congedo.
William Shakespear, Giulio Cesare, atto V, scena prima.
È stato con una certa commozione che ho redatto questo ultimo post per il blog di Barocca-mente. Scrivere i precedenti è stato innanzitutto una fonte di piacere, eguagliata solo dalla soddisfazione con cui ho letto quelli dei colleghi che mi hanno preceduto e accompagnato come borsisti della Fondazione 1563. Non solo, infatti, ero portato a imparare o ad approfondire tanti argomenti legati ai nostri adorati secoli XVII e XVIII quando redigevo i miei post; ancora di più scoprivo seguendo le ricerche altrui. Il blog è stato per me un bellissimo modo di condividere interessi e conoscenze e superare la barriera degli schermi dei nostri computer, che troppo spesso separano noi giovani ricercatori.
Le ragioni della divulgazione
Inoltre, Barocca-mente è stata la conferma di quello che, secondo me, dovrebbe essere il metodo di qualunque attività divulgativa o di valorizzazione del nostro “patrimonio culturale”: prima la ricerca e poi la divulgazione.
Spostare troppo l’attenzione sull’aspetto “scenografico” della comunicazione culturale, nel timore che il contenuto di per sé possa essere troppo “noioso” per il pubblico più ampio, alla lunga non può far altro che rendere ancor più noiosa la divulgazione stessa. Troppi fronzoli (tecnologici, multimediali, di “realtà aumentata” etc.) dopo poco stufano e portano paradossalmente lo spettatore ad allontanarsi da quei contenuti (nel nostro caso, la storia dell’arte) che si voleva invece far arrivare.
Se invece si conosce bene un argomento, si è già in grado di coglierne il nucleo centrale, il cui significato è di per sé tanto importante e denso da raggiungere facilmente il destinatario, senza necessità di tanti aiuti pirotecnici.
Collezionismo, mostre e ricerche sul Seicento fiorentino
Immagine dell’allestimento della mostra Art in Italy 1600-1700, Detroit 1965
Naturalmente, però, l’aspetto per me più importante come borsista è stato quello di condurre la mia ricerca sulla fortuna novecentesca, tra Italia e Stati Uniti, del Barocco fiorentino. Ho cercato di indagare questo argomento considerando soprattutto tre aspetti: il collezionismo di opere d’arte fiorentine del XVII e XVIII secolo; l’attività espositiva ad esse dedicata; le ricerche degli studiosi di storia dell’arte.
Fin da subito mi sono accorto che questi tre campi si intersecavano spessissimo. C’erano studiosi che collezionavano opere e c’erano collezionisti che anche solo come dilettanti sviluppavano conoscenze specialistiche da storici dell’arte. Tutto ciò si rifletteva in eventi espositivi che a loro volta stimolavano ulteriori ricerche e movimenti di mercato.
Conoscere i protagonisti di queste dinamiche è stato per me un’autentica scoperta, dal sapore anche umano. Sentire nominare tanto spesso, ad esempio, Andrew Ciechanowiecki, me lo ha fatto sentire vicino e mi ha fatto rimpiangere di non aver potuto ammirare dal vivo le sue così celebrate doti di anfitrione, organizzatore di eventi cultuali, oltre che di studioso di scultura fiorentina. O ancora, seguire il lavoro di Howard Hibbard alla Columbia University mi ha consentito di apprezzare quanto l’impegno e le qualità umane e professionali di un grande docente quale fu Rudolf Wittkower possano creare quasi da zero un contesto di studi e di attività culturali assai vitale e duraturo.
Alcuni dei protagonisti della storia che cercavo di ricostruire ho avuto persino il piacere di conoscerli personalmente, grazie alla generosità di alcuni benemeriti mediatori (e ringrazio soprattutto Elena Fumagalli e Dimitrios Zikos). Non dimenticherò, infatti, i colloqui con Alvar González-Palacios, con Jennifer Montagu e con Carlo Sisi. Senza i loro ricordi sulla stagione di studi e di mostre sul Barocco fiorentino a cavallo tra anni Sessanta e Settanta, la mia ricerca sarebbe forse addirittura naufragata.
Un caso studio importante
Soprattutto il caso studio cui ho dedicato maggiore attenzione, la mostra sugli Ultimi Medici allestita in doppia sede a Detroit e a Firenze nel 1974, mi ha permesso di apprezzare dinamiche complesse e di grande interesse per la storia della fortuna dell’arte fiorentina. Innanzitutto, anche grazie ai documenti che ho potuto rinvenire in alcuni archivi in Italia e all’estero, è emersa una potente rete internazionali che univa collezionisti, mercanti, studiosi, direttori di musei e rappresentanti delle Istituzioni. Per fortuna a quel tempo non esistevano le chat digitali. Altrimenti, la quasi totalità delle comunicazioni epistolari grazie alle quali ho potuto ricostruire molti di quei rapporti non sarebbe mai esistita.
È stato interessantissimo, poi, comprendere il modo in cui si riuscì a legare quelle dinamiche di rapporti internazionali alle più contingenti ma altrettanto significative esigenze e speranze di alcuni direttori di musei fiorentini. Soprattutto Marco Chiarini, direttore della Galleria Palatina di Palazzo Pitti quando vi fu allestita la mostra del ’74, ebbe l’intelligenza di approfittare di quel grande evento, di risonanza internazionale e sostenuto dalle abbondanti risorse del museo di Detroit, per portare avanti progetti allestitivi che contribuirono a riscrivere la storia museografica di Palazzo Pitti.
Interno di una sala di Palazzo Pitti
Riflessioni generali su un secolo di arte
Infine, sono grato dell’opportunità di studio offertami dalla Fondazione perché mi ha consentito di condurre una ricerca che ha portato a confrontarmi non solo con argomenti specifici, ma anche con tematiche più generali della nostra disciplina. L’espressione stessa di Barocco fiorentino, che ho voluto impiegare confortato dal fatto che quasi tutti i protagonisti della mia ricerca la usavano senza timori, mi ha costretto a riflettere sulla più ampia definizione di Barocco.
Inoltre, le particolari caratteristiche della scuola artistica fiorentina di quel periodo mi hanno portato a considerare il rapporto tra le diverse arti. Dal punto di vista dei collezionisti, soprattutto, è possibile notare una certa divisione tra pittura e scultura. Gli appassionati di pittura fiorentina del Seicento, pensiamo a Piero Bigongiari su tutti, non nutrivano altrettanto interesse per i coetanei scultori toscani, e viceversa.
Sorprende ancora di più, quindi, vedere l’intelligenza di alcuni studiosi che invece riuscirono a considerare in modo complessivo non solo le arti “maggiori” ma anche quelle “minori” (e su tutti a riuscirci fu forse proprio Ciechanowiecki), per cercare di cogliere l’unitarietà dello “stile fiorentino” in età barocca e specificarlo rispetto a quello di altre coeve scuole italiane.