Dopo il post su Valerio Castello tra Italia e America, Ilaria Serati ci propone un nuovo confronto tra i due continenti: questa volta, parliamo di mappe concettuali.
New York, 1940
Sulle colonne del nostro blog Barocca-mente è già stata ricordata la mostra sui capolavori dell’arte italiana allestita al Museum of Modern Art di New York, nel 1940. Su un totale di 28 dipinti, solo sette appartenevano al Barocco: il Ragazzo morso da un ramarro di Caravaggio, prestato da Roberto Longhi; una Madonna con Bambino di Orazio Gentileschi, di proprietà Contini Bonacossi; un Guercino dall’Accademia Carrara; una Santa Cecilia di Bernardo Cavallino e, per il Settecento, due opere di Giovanni Battista Tiepolo e Alessandro Longhi. L’unica scultura presente era il Busto di Costanza Buonarelli di Bernini, proveniente dal Museo del Bargello di Firenze.
I diagrammi di Alfred Barr, direttore del MoMa
Poiché la mostra voleva presentare i risultati più salienti dell’arte moderna italiana al grande pubblico americano, il catalogo si apriva con una mappa concettuale ideata dallo storico dell’arte Alfred Barr, allora direttore del MoMa. Barr disegnò altre volte diagrammi relativi a movimenti artistici: uno dei più famosi, ad esempio, è quello sul cubismo e l’arte astratta, pensato per un’esposizione allestita nello stesso museo pochi anni prima, nel 1936.
Alfred Barr, cover of the exhibition catalogue Cubism and Abstract Art
Nella mappa del 1940 invece, erano rappresentati gli stessi artisti presenti nelle sale della mostra, incasellati in un ampio arco cronologico (dal 1300 al 1800) e in una sommaria geografia italiana, articolata in quattro centri: Venezia e il nord Italia, Firenze e l’Italia centrale, Roma e Napoli.
Alfred Barr, cover of the exhibition catalogue Italian Painting and Sculpture, 1300-1800
Vienna, 1937
L’esposizione di New York andava incontro al gusto del pubblico americano, che proprio in quegli anni stava iniziando a incontrare opere del periodo barocco anche nelle grandi mostre ma che, di fatto, non era ancora abituato ai canoni stilistici del Seicento.
Al contrario, in Europa gli storici dell’arte stavano compiendo un grande lavoro di dissodamento di questa corrente artistica, evidente, ad esempio, nella mostra tenutasi nel 1937 a Vienna, presso la Galerie Sanct Lucas, focalizzata proprio sulla pittura barocca italiana. Qui venivano esposti ben 144 dipinti del XVII e XVIII secolo selezionati da tre importanti studiosi, autori anche dei saggi introduttivi del catalogo: William Suida firmò un contributo sulle scuole genovesi e napoletane; Hermann Voss sui vedutisti italiani del Settecento e Giuseppe Delogu sulla pittura di genere. Tutti e tre erano coscienti che le opere rappresentavano solo un assaggio della grande produzione seicentesca, ma che tuttavia avrebbero dato:
«una testimonianza eloquente dell’incredibile ricchezza del genio artistico del Barocco».
Concludeva il catalogo una mappa concettuale ideata da Giuseppe Delogu, che voleva invece essere un tentativo di rappresentazione grafica della scuola pittorica italiana del Seicento e del Settecento: sulle ordinate erano disposti gli estremi cronologici, sulle ascisse le principali regioni relative ai pittori, in una geografia ben più articolata di quella di Barr.
Due mappe per due immaginari
Confrontando le mappe del 1937 e del 1940, anche solo a colpo d’occhio, risalta, in quella viennese, la fitta quantità di nomi intrecciati dalle linee rosse che, correndo da una parte all’altra, evidenziano le relazioni stilistiche. E se proviamo a rintracciare quegli artisti che, poco dopo, sbarcheranno nell’esposizione americana, emergono notevoli differenze: se Caravaggio e Guercino restano tra i nomi dominanti anche in questo diagramma, Gentileschi e Tiepolo sono scritti in un carattere di dimensione minore, e Alessandro e Pietro Longhi sono riportati in piccolo e isolati nell’angolo destro della mappa, tra Francesco Guardi e i seguaci di Tiepolo.
Le due mappe concettuali, seppur realizzate per contesti, finalità e pubblico differente, mostrano, a una stessa data, diversi quadri della fortuna figurativa del Barocco. In particolare, il contenitore americano, allora pressoché vuoto, sarà colmato poco dopo, quando numerosi collezionisti e storici dell’arte europei saranno costretti ad attraversare l’Atlantico portando con sé oggetti propri di un immaginario figurativo e artistico che, trasformato e riadattato in vesti americane, esploderà negli anni Sessanta.