Barocca-mente attira nuovamente l’attenzione su Bologna e questa settimana si dedica a un’esposizione temporanea destinata a cambiare il corso degli studi, la mostra su Ludovico, Agostino e Annibale Carracci del 1956.
6 settembre 1956
È giovedì. Potrebbe sembrare un giorno qualunque a Bologna per i commercianti di via degli Orefici, per chi pedala su via Farini e per coloro che passeggiano con il giornale sotto braccio e una sigaretta in bocca in piazza Maggiore. Eppure a pochi passi da loro, sotto l’ombra della basilica di San Petronio, sta per inaugurare un evento epocale. Lentamente si dischiudono le porte del palazzo dell’Archiginnasio, la storica sede dello studio bolognese, ormai riportato a nuovo, dopo che una bomba l’aveva colpito nel 1944. L’apertura della mostra era prevista per il primo del mese ma la data dell’inaugurazione ufficiale slitta sino a quel giovedì 6. Questa volta i battenti non si aprono al via vai brulicante di operai, studiosi e restauratori che si era avvicendato nelle settimane precedenti, ma per accogliere finalmente le autorità e il pubblico desideroso di vedere la mostra dei Carracci.
382 opere. Si tratta di numero davvero impressionante di dipinti, disegni e stampe allestite nelle antiche sale in cui erano passati tanti studenti dell’Università. Fino ad allora una mostra su Ludovico, Agostino e Annibale non era stata mai fatta. Cesare Gnudi, Soprintendente alle Gallerie di Bologna, sa che la sfida di questa operazione scientifica e culturale è cruciale. Ne sono consapevoli anche i suoi collaboratori, che varcano quella soglia, possiamo immaginare, con un brivido di tensione. Sono Gian Carlo Cavalli, reduce insieme a Gnudi dalla mostra (1954) e poi dal catalogo di Guido Reni (1955); Francesco Arcangeli, che aveva appena pubblicato su Paragone un importantissimo articolo sugli inizi dei Carracci (1956); Maurizio Calvesi, neo-ispettore delle Belle Arti, giunto in città solo l’anno prima; un giovane Andrea Emiliani e, infine, lo studioso inglese Denis Mahon, la cui fama è ormai indissolubilmente legata ai Carracci dal libro pubblicato nel 1947, Studies in Seicento Art and Theory.
Non sanno ancora che la mostra a cui hanno lavorato alacremente nell’ultimo anno e mezzo sarà prorogata di 25 giorni rispetto alla chiusura prevista, il 31 ottobre successivo, per via degli oltre 50.000 visitatori che accorreranno a vederla.
Una sfida ambiziosa: il riscatto dei Carracci
L’obiettivo principale della mostra è quello di riscattare i tre artisti da una serie di pregiudizi che ne hanno a lungo compromesso la fortuna.
La necessità di riabilitazione dei Carracci era stata indicata chiaramente da Roberto Longhi, quando, nel 1934, si era insediato nella cattedra dell’ateneo bolognese. Tale indirizzo prendeva a sua volta le mosse dalla lezione dello studioso tedesco Hermann Voss, vero grande pioniere della riscoperta del Seicento, che invitava a un ritorno all’analisi dell’opera d’arte, liberandosi da formule preconcette. Non è un caso che entrambi questi studiosi figurino nel Comitato Promotore e Organizzatore della mostra.
I presupposti degli organizzatori sono dunque questi, eppure il giudizio negativo sui Carracci continua a essere ribadito da personalità influenti come Bernard Berenson. Tuttavia, a testimoniare l’interesse suscitato dalla mostra anche nei più strenui detrattori dei tre pittori, Maurizio Calvesi ricorda che:
Quando si tenne la mostra dei Carracci del ’56, Berenson, ormai novantenne, si installò a Bologna: per non affaticarsi, visitava la mostra a pezzi, un quarto d’ora al giorno, accompagnato da tutti noi.
Per raggiungere l’ambizioso scopo della mostra, gli organizzatori lavorano su due fronti: il restauro e lo studio filologico.
Gli interventi di pulitura, a cui sono sottoposti tutti i dipinti che ne risultano bisognosi, hanno lo scopo di fare apprezzare nel modo più diretto la pittura dei tre maestri. Lo studio delle fonti, libero da etichette cristallizzate, mira invece a definire tre differenziati profili di Ludovico, Agostino e Annibale. Uno dei punti cardine dall’intera operazione è il recupero della componente naturalistica e della pittura di paesaggio. Il dipinto più rappresentativo in tal senso è la lunetta con la Fuga in Egitto di Annibale conservato alla Galleria Doria Pamphilj a Roma.
Locandina della mostra dei Carracci del 1956
Annibale Carracci, Fuga in Egitto, Roma, Galleria Doria Pamphilj
Il ruolo di Mahon e il caso del Mangiafagioli
Annibale Carracci, Il Mangiafagioli, Roma, Galleria Colonna
Annibale Carracci, Madonna del silenzio, Hampton Court
Interlocutore privilegiato di Gnudi e personaggio chiave dell’intera esposizione è senza dubbio Denis Mahon.
A lui viene affidata la curatela del catalogo dei disegni dei Carracci, che ha un ruolo decisivo nell’illustrare la produzione a fresco, in particolare relativa della grande opera romana di Annibale: la Galleria Farnese. La chiave di lettura proposta dallo studioso inglese è il nuovo modo di sentire l’Antico che apre la strada al Barocco di Pieter Paul Rubens e di Gian Lorenzo Bernini.
L’apporto di Mahon però è determinante anche su un altro fronte, quello dei prestiti. Senza la sua collaborazione sarebbe impensabile ottenere dalla Regina Elisabetta II, 2 dipinti e 50 disegni dalle collezioni reali, opere dalla National Gallery di Londra che non avevano mai lasciato l’Inghilterra.
Esemplificativo, però, è il caso del Mangiafagioli di Annibale della Galleria Colonna a Roma. Un dipinto che solo da poco è stato riconosciuto alla mano di Carracci ma che è considerato un’opera cruciale per dimostrare lo sguardo sul “vero” del più giovane dei tre artisti. La principessa Colonna nega inizialmente il prestito dal momento che il quadro era già stato promesso a una esposizione alla Kunsthaus di Zurigo. Mahon scrive quindi al direttore dell’istituzione rammentando i prestiti che egli ha garantito dalla sua personale collezione alla mostra svizzera e pregandolo di intercedere per l’ottenimento del capolavoro. Il Mangiafagioli è infatti “absolutely vital” per la mostra dei Carracci e grazie all’infaticabile trattativa di Mahon l’opera viene mandata a Bologna in cambio della Fattoria di Giuseppe Maria Crespi della Pinacoteca felsinea che è spedita a Zurigo.
L’apprezzamento del Mangiafagioli da parte grande pubblico è enorme. Delle oltre 24.000 cartoline vendute nel complesso, ben 1545 sono quelle con il dipinto Colonna, battuto solo da un’altra opera di Annibale, la Madonna del Silenzio di Hampton Court.