Questa settimana per Barocca-mente chiudiamo il ciclo dei racconti delle ricerche dei borsisti con Sara Concilio e il suo lavoro, in fase di conclusione, sul dopoguerra napoletano.
Circa un anno fa ho iniziato un’indagine sull’intenso lavoro del gruppo riunito attorno al Soprintendente alle Gallerie della Campania, Bruno Molajoli (1905-1985), dopo la Seconda guerra mondiale. Mi spinse a scegliere l’argomento del progetto – al di là del desiderio di tornare a fare ricerca sul patrimonio storico-artistico della mia città – la lacuna che avevo intravisto negli studi tra l’esposizione sulla pittura dei Tre secoli (1938) e le grandi mostre, anche internazionali, degli anni Sessanta.
Se messa in rapporto con altri lavori promossi dalla Fondazione 1563 negli anni precedenti, relativi alla stessa scuola artistica o allo stesso arco cronologico, la ricerca diventa parte di un puzzle più ampio: un programma di analisi a tutto tondo sugli sviluppi della storia dell’arte barocca, sulle teorie e sulle pratiche collezionistiche e museologiche del secolo breve. Farne parte è stato davvero stimolante e lo strumento del blog ha permesso di ampliare i confini della mia ricerca e del prodotto finale.
La mostra del 1938 La pittura napoletana dei secoli XVII-XVIII-XIX (detta per brevità dei Tre secoli) a Castelnuovo costituisce la premessa con cui ho dovuto confrontarmi: di propaganda, con rilevanti prestiti, si era proposta di celebrare varietà e continuità della scuola locale, puntando sul Seicento e attirando molta attenzione mediatica e di pubblico.
La guerra arrestò bruscamente questo tipo di operazione e le bombe fecero il resto. Iniziarono anni di pericolo estremo per i napoletani e anche per il patrimonio culturale.
«Dice che c’è rimasto sulo ‘o mare»
Le storie relative al salvataggio di monumenti, opere d’arte e biblioteche negli ultimi anni sono state valorizzate da studi scientifici, ma anche da prodotti cinematografici e televisivi.
Per il contesto napoletano abbiamo importanti fonti: i resoconti della Soprintendenza curati da Bruno Molajoli sulla ricognizione dei danni bellici e sul riordinamento dei musei (Musei ed opere d’arte di Napoli attraverso la guerra, 1948; Il riordinamento dei musei di Napoli, 1949), che ci aiutano a ricostruire l’estrema difficoltà di ripresa e il tanto lavoro che fu affrontato.
Il ruolo di coordinamento nelle operazioni di riorganizzazione si affiancò a un’attività espositiva che cominciò con piccole mostre – negli anni sempre più estese – che iniziarono a dotarsi dal 1947 di cataloghi curati da Raffaello Causa e Ferdinando Bologna e a cui si aggiunsero quelli delle mostre di restauro (1951-1960).
Chiesa di Santa Maria del Carmine Maggiore, navata centrale dopo i bombardamenti, Napoli, 1943
Per la mia ricerca su questa fase delicata ho approfondito quanto pubblicato dai protagonisti con il materiale d’archivio.
L’Archivio Molajoli, conservato presso la Biblioteca di Castel Sant’Elmo di Napoli dal 2011, e l’Archivio storico del Museo di Capodimonte sono stati i luoghi che mi hanno consentito di aggiungere diversi tasselli della storia che parte dal 1945 e arriva ai primi anni dell’apertura della Galleria Nazionale di Capodimonte (1957), una stagione di ripresa che coinvolge da subito l’arte barocca.
Mostre, restauri e riallestimenti
L’evidente attenzione del tempo alla restituzione ai cittadini di ciò che per anni era stato negato e danneggiato mi ha spinta a indagare ciascuna delle traiettorie di lavoro della squadra di Molajoli, che si incrociano e culminano (non esaurendosi) nell’apertura della Galleria Nazionale di Capodimonte.
Le piccole mostre che vennero allestite con solerzia dal 1945 a San Martino, con opere scelte dalla Pinacoteca e dagli altri musei ancora chiusi oppure occupati dagli alleati avevano permesso di approfondire lo studio di alcuni artisti del Seicento, o si erano dedicate ad ampi temi, come l’esposizione La Scultura nel presepe napoletano del Settecento (1950) o quella intitolata Sculture lignee nella Campania (1950), tenendo traccia degli studi sul Barocco e divenendone spazi di ricerca.
Sculture lignee nella Campania, a cura di Raffaello Causa e Ferdinando Bologna, prefazione di Bruno Molajoli, Napoli, Palazzo Reale, 1950
Le mostre di restauri (1951-1960), poi, raccontavano al pubblico gli interventi sulle opere del Sei e Settecento che dal 1945 il nuovo Laboratorio per la conservazione fu chiamato a svolgere inizialmente «con mezzi di fortuna», poi nella nuova sede di Capodimonte. Raccolte in dettagliati cataloghi con foto degli interventi in itinere, le pratiche di restauro arricchirono il dibattito critico, scientifico, consentendo attribuzioni e nuovi studi.
I riallestimenti del Museo di San Martino (riaperto nel 1948 con una nuova esposizione per le opere del Seicento) e del Museo Filangieri e nuove acquisizioni e donazioni avvenute in quegli anni contribuirono a ridare il giusto spazio al Barocco.
Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte (1957)
Queste tre linee operative – mostre, restauri e riorganizzazione del patrimonio – andarono a convergere nel riallestimento della Pinacoteca Nazionale con le collezioni farnesiane, borboniche e post-unitarie nella reggia di Capodimonte, sottratta all’Accademia Aeronautica.
I lavori, iniziati nel 1952 grazie al finanziamento della Cassa del Mezzogiorno, vennero seguiti da Molajoli e dall’architetto Ezio De Felice e portarono all’apertura, il 5 maggio 1957. Ferdinando Bologna curò la Pinacoteca e Raffaello Causa, responsabile del laboratorio di restauro, organizzò la Galleria dell’Ottocento.
Bernardo Cavallino, La cantatrice, 1645-1649, olio su tela, Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte (nel 1957 nella sala monografica n. 35)
Jusepe de Ribera, Sileno ebbro, 1626, olio su tela, Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte (nel 1957 nella sala 31, Pittori del Seicento a Napoli)
Il viaggio in America di Molajoli del 1953 per visitare musei e gallerie fu l’occasione per immaginare una pinacoteca moderna, aggiornata museograficamente, ricca di novità. La disponibilità di nuovi spazi diede modo di organizzare una narrazione della storia dell’arte per epoche e per scuole, evidenziando nuclei omogenei, con «coscienza storica», anche con sale monografiche. Ben salutata da Roberto Longhi, la sezione del Sei e Settecento, pur priva di dipinti di Caravaggio, consacrò il pittore lombardo esaltandone il passaggio a Napoli.
L’analisi di documenti e cataloghi di quegli anni, che interpretano e valorizzano il patrimonio napoletano in fase di restauro e con nuove prospettive di allestimento, mi ha consentito di entrare in un complesso laboratorio di storia dell’arte, che interveniva sulle opere descrivendo i procedimenti conservativi e le novità emerse con i restauri, operava confronti, ricostruiva e divulgava, lanciandosi spesso in nuove attribuzioni, senza dimenticare disegni e bozzetti.
La ricerca ha messo in evidenza l’assoluta esigenza del gruppo di Molajoli di liberare dall’oblio della guerra, dai depositi o da spazi troppo ristretti le collezioni napoletane e restituire al pubblico gli sforzi e anche il lavoro scientifico svolto.
Queste necessità si dispiegarono attraverso la volontà di una narrazione rinnovata da un più forte radicamento storico e filologico, riscontrabile in uno stratificato filone di studi sulla pittura napoletana del Seicento, che passò necessariamente attraverso i testi di Causa e Bologna.
L’opportunità datami dalla Fondazione 1563 di ricostruire un’intensa stagione di ragionamenti a diretto contatto con le opere, mi rende ogni giorno più consapevole di ciò che vedo in città attorno a me: nuove narrazioni del Seicento napoletano, nuovi racconti, aggiornamenti e ricerche che trovano spazio in quei musei recuperati nella stagione più dura della storia del Novecento.