Nel post di questa settima di Barocca-mente daremo uno sguardo a un celebre episodio in cui scrittori e poeti del Seicento bolognese impiegarono la penna per descrivere ed elogiare le opere dei grandi pittori del loro tempo.

Due tele da Bologna alle monarchie europee

Quasi negli stessi mesi, intorno al 1630, i due principali pittori attivi in Emilia dipinsero ciascuno una tela di grande formato. Queste opere erano destinate a grande fortuna ma anche a tortuose vicende collezionistiche. Il Ratto di Elena di Guido Reni e il Suicidio di Didone di Guercino, infatti, nacquero sotto gli auspici di committenze regali, del re di Spagna il primo e di Maria de Medici, regina madre di Francia, il secondo. In quel momento, cioè, tra Bologna e Cento si lavorò a due delle principali commissioni del secolo.

Nessuna delle due opere, però, raggiunse mai la destinazione per la quale era stata inizialmente pensata. Oggi si conservano, dopo vari passaggi di proprietà, al Louvre di Parigi e alla Galleria Spada di Roma. Più che sulla storia di questi due capolavori, ci concentreremo sulla loro fortuna letteraria, testimonianza di quella particolare relazione tra parola e immagine che caratterizzò la cultura del Seicento.

Guercino, Suicidio di Didone, Roma, Galleria Spada

Guido Reni, Ratto di Elena, Parigi, Louvre

Frontespizio de Il trionfo del pennello, Bologna 1633

La penna e il pennello

Nella “dotta” Bologna, già i contemporanei avvertirono un legame tra questi due dipinti. Il formato, le dimensioni simili e i soggetti tratti dalla stessa mitologia dei cicli troiani confermavano tale relazione. Il legame è tanto stretto che alcuni moderni storici dell’arte (Stephen Pepper e Anthony Colantuono su tutti) hanno ritenuto che le due opere fossero state concepite a pendant.

Inoltre, i loro autori erano diretti concorrenti nel mercato dell’arte emiliano e si stentava a stabilire con certezza chi dei due dovesse prevalere. Era inevitabile che intorno ai due dipinti sorgesse un dibattito.

Ad aprire le danze fu Lorenzo Gennari, scrittore e pittore allievo del Guercino. Egli nel 1632 diede alle stampe le Diverse composizioni fatte in lode della Didone, per esaltare il dipinto del maesto.

Risposero di lì a poco i principali scrittori che animavano la scena letteraria felsinea, come Giovan Battista Manzini, Claudio Achillini e Virgilio Malvezzi. Ognuno firmò un breve testo in lode della tela di Reni. Il tutto fu raccolto e pubblicato nel 1633 in un volumetto dal titolo evocativo: Il trionfo del pennello.

Il dibattito moderno sulla letteratura ecfrastica

La particolare natura di questi testi, a metà strada tra letteratura e critica d’arte, attrasse nel Novecento l’attenzione di un grande studioso della cultura barocca: Ezio Raimondi. Ottimo conoscitore della letteratura seicentesca, egli assommava anche un profondo interesse e solide competenze nel campo della storia dell’arte. Era la persona giusta, quindi, per pesare il valore di quei testi ecfrastici.

Nel suo Il colore eloquente distinse con sapienza le poche tracce di “critica formale” dei dipinti di Reni e Guercino dalle numerose “metafore ingegnose” di cui gli autori seicenteschi infarcivano i loro testi. Nel caso di Reni, queste esaltavano soprattutto la capacità del pittore di trasfigurare e innalzare la vicenda omerica in un perfetto sopramondo poetico, in cui persino il gesto di Elena, che aveva causato il disastro della guerra, è assolto per grazia del suo angelico pennello. Così scriveva per esempio Achillini: “Guido, col suo pennello ha disfatto quel fallo”.

Quasi quattrocento anni dopo, è difficile capire quanto quelle metafore fossero dovute alla sola ambizione letteraria dei loro autori e quanto all’effettiva comprensione della maniera nobile ed elevata di Reni, priva di ogni concessione alla crudezza del reale.

Ezio Raimondi

Sulle complesse tematiche poste dalla letteratura ecfrastica si continua a riflettere ancora con grande profitto, come dimostrano per esempio i recenti studi di Giulia Iseppi, proprio sull’ambiente bolognese. Esse alludono al grande problema delle origini della disciplina storico-artistica e, ancor più in profondità, all’eccezionale facoltà umana di leggere un’immagine e tradurla in un diverso codice, quello del linguaggio.