Il salottino cinese di Maria Amalia di Sassonia ha trovato sistemazione definitiva nel 1957 a Capodimonte. Nel nuovo post di Barocca-mente Sara Concilio ci racconta le vicende e i trasferimenti di questo scrigno dell’arte del Settecento composto da 3000 pezzi.

Giuseppe Aloja su disegno di Giovanni Gravier, Veduta della Real Villa di Portici come si vede dal mare, 1763 circa

Nel Palazzo Reale di Portici, residenza estiva alle pendici del Vesuvio fatta costruire nel 1738 da Carlo di Borbone e Maria Amalia di Sassonia, prima sede collezionistica delle meraviglie emerse da Ercolano e Pompei, un preziosissimo ambiente testimoniava l’interesse delle corte per il mondo orientale: il boudoir della regina.

La curiosità per le cineserie, per le bizzarrie, per la teatralità e gli animali esotici tra Sei e Settecento toccò le corti d’Europa attraverso i dispacci della Compagnia di Gesù e il commercio di manufatti orientali. Sete ricamate, legni, lacche, avori e porcellane si diffusero in Occidente, animando un gusto che si sviluppò soprattutto in elaborazioni d’invenzione, filtrato, per esempio, dai disegni e dalla pittura di Jean-Antoine Watteau e François Boucher.

Jean Joseph Dumons, da François Boucher, Il tè, 1750 circa, arazzo, Manifattura di Aubusson, Parigi, Musée du Louvre

Michel Aubert su disegno di Jean-Antoine Watteau, Viosseu o musicista cinese, 1731

La porcellana in particolare, duttile e leggera, materiale privilegiato del rococò, subì il fascino dell’Oriente e la Real Manifattura di Meissen incoraggiò il gusto per l’altrove, favorendo le richieste di cineserie per le decorazioni d’interni.

Le origini sassoni di Maria Amalia furono il presupposto per la nascita di una fabbrica di porcellana a Napoli, attiva con la scuola di Capodimonte dal 1740 al 1759, fino alla partenza dei sovrani per il trono di Spagna. Una nuova formula a impasto tenero si prestava alla lavorazione delle miniature a punta di pennello, dagli effetti di colore scintillante.
Capolavoro della Real Fabbrica di Capodimonte, il Boudoir, realizzato tra il 1757 e il 1759 su progetto del pittore piacentino Giovan Domenico Natali e sotto la direzione del modellatore e scultore Giuseppe Gricci, era composto da tremila pezzi di porcellana connessi a incastro che ricoprivano l’intera superficie.

Fabbrica di Capodimonte, Salottino di porcellana, 1757-1759, porcellana dipinta, insieme e dettagli, Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte

Le lastre di porcellana spesse un centimetro e realizzate per stampaggio erano fissate con delle viti a un telaio di legno e decorate con festoni di fiori, volute, figurine isolate e scenette orientali, con cartigli in caratteri cinesi che celebrano re Carlo, uccelli, scimmie, in sostituzione dei consueti stucchi o parati, di fauni e motivi tipici delle grottesche.

Di porcellana anche il lampadario a dodici bracci: una palma sulla quale si arrampica una scimmia, affiancata da un uomo dai tratti orientali che stuzzica un drago con un ventaglio.

L’ambiente venne replicato per i sovrani nel Palazzo reale di Aranjuez da Gricci e dagli operai che si trasferirono nella Real Fábrica de Porcelana del Buen Retiro.

Fabbrica di Capodimonte, Salottino di porcellana, 1757-1759, porcellana dipinta, dettagli, Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte

Dal mare alla collina in duecento anni

Fabbrica di Capodimonte, Salottino di porcellana, le decorazioni di una delle pareti nella fase di rimontaggio, 1957

Concepito originariamente per il Palazzo Reale di Portici, il Boudoir fu smontato e trasferito nella coeva residenza di Capodimonte nel 1866 da Annibale Sacco. Il soffitto in stucco, che era stato eseguito da Mattia Gasparini a imitazione della porcellana, venne lasciato nel sito originario a causa delle difficoltà di smontaggio e movimentazione. Solo nel 1957, in occasione dell’apertura della Galleria Nazionale di Capodimonte, sotto la direzione dell’architetto Ezio De Felice anche la volta originaria, tagliata in 18 parti, venne ricongiunta alla restante decorazione, interamente traslocata in un’altra sala, al lato orientale dello stesso piano, «per una più propria disposizione museografica».

Le quattro pareti di porcellana, liberate da varie integrazioni ottocentesche e riparate nelle lesioni, vennero rimontate su un apposito sistema di tralicci metallici, ideati in modo da garantire la conservazione e la costante manutenzione.

Venne ricomposto e ricollocato nello stesso salottino anche il prezioso lampadario di porcellana, andato in frantumi nel 1943 per effetto di una bomba esplosa all’esterno del palazzo: ne erano state raccolte due casse di minutissimi frammenti, riorganizzati con abilità e pazienza in due anni dai restauratori della Soprintendenza.

Fabbrica di Capodimonte, Salottino di porcellana, particolare dei candelieri prima del restauro, 1957

Il salottino venne così a essere uno degli ambienti più preziosi del primo piano del nuovo museo, sistemato per ospitare la Galleria dell’Ottocento e di seguito l’Appartamento-Museo. Quest’ultimo si apriva con l’allestimento delle maioliche e porcellane radunate a Capodimonte a fine Ottocento dalle altre residenze borboniche, proseguendo con la collezione De Ciccio, ricca anche di arredi orientali, donata al nascente museo. Avanzando nella Sala delle feste, nell’Armeria e attraverso un tripudio di manufatti, si arrivava al lato orientale, che puntava a ricostruire il carattere di residenza di gala. Era stato composto una sorta di appartamento settecentesco attorno al Boudoir, collocando nelle sale attigue i soffitti affrescati da Fedele Fischetti staccati da Palazzo di Sangro di Casacalenda e gli arazzi della serie napoletana del Don Chisciotte, parimenti restaurati e affiancati a mobili di epoca ferdinandea e manifatture di San Leucio.

L’abbondanza di materiali favorì un progetto di allestimento che spinse la direzione di Bruno Molajoli a ricostruire un ambiente settecentesco in cui anche le arti decorative fossero protagoniste.