Bernini, Baldacchino di San Pietro

Jacques-Emile Blanche, Ritratto di Marcel Proust, 1892, Musée d’Orsay, Parigi

Dopo il post su Gabriele d’Annunzio e Guercino, Vincenzo Pernice ci racconta di un altro incontro tra uno scrittore del Novecento e un pittore del Seicento.

Tra i romanzi oggetto di attenzione da parte degli storici dell’arte, un caso particolarmente significativo è À la recherche du temps perdu di Marcel Proust. Pubblicata in sette volumi tra il 1913 e il 1927, l’opera dello scrittore francese testimonia un passaggio fondamentale, nella storia del gusto, dal decadentismo tardottocentesco al modernismo del XX secolo.

Abbiamo accennato, qualche settimana fa, al ruolo degli interni proustiani nella rivalutazione del Rococò. Ma cosa ci raccontano del Seicento e della sua fortuna? La domanda è lecita perché la Recherche è, tra le varie cose, un vero e proprio museo di carta, in cui si susseguono descrizioni e citazioni non soltanto di mobili e suppellettili, ma anche di architetture, dipinti e pittori, talvolta chiamati con precisione o comunque facilmente riconoscibili (Giotto, Botticelli, Rubens, Turner), talaltra d’invenzione (Elstir).

Come ogni dandy che si rispetti, Proust amava circondarsi di artisti, frequentare i salotti mondani, visitare mostre, nonostante la salute cagionevole. Tra i quadri che hanno segnato maggiormente la sua vicenda, di uomo e di autore insieme, ve n’è uno, in particolare, di Johannes Vermeer.

La realtà

Partiamo dal contesto. Contrariamente al Barocco italiano, la pittura olandese del Seicento, nel complesso, ha sempre riscosso ampi consensi tra gli specialisti. La fortuna del Secolo d’oro è rimasta intatta nel tempo. Ciò non toglie che alcuni suoi esponenti siano stati restituiti alla critica e al pubblico con maggior lentezza. Il caso di Vermeer è alquanto emblematico. Già poco noto, in vita, al di fuori di Delft e L’Aja, il pittore fu pressoché sconosciuto per due secoli. Soltanto nella seconda metà dell’Ottocento, grazie agli studi di Théophile Thoré, il suo nome ha ripreso a circolare. In breve, negli ambienti mondani frequentati da Proust, Vermeer diventa un mito: la riscoperta tardiva, la biografia misteriosa, le false attribuzioni alimentano la curiosità.

Nel 1902, il nostro scrittore fa un viaggio in Belgio per assistere, a Bruges, all’esposizione dei primitivi tedeschi. Successivamente fa tappa nei Paesi Bassi. Ammira Frans Hals al museo di Haarlem, ma rimane assai più colpito dalla Veduta di Delft di Vermeer, a L’Aja.

Molti anni dopo, nel 1921, la galleria parigina Jeu de Paume ospita la Exposition hollandaise. Tableaux, aquarelles et dessins anciens et modernes: oltre 200 opere equamente divise tra antichi e moderni. Il pubblico può ammirare insieme Rembrandt e Van Gogh. Vermeer è tra i più chiacchierati, nonostante le sole tre tele esposte: Veduta di Delft, La lattaia, La ragazza con l’orecchino di perla. L’attenzione dei parigini è tutta per quest’ultima, riprodotta in catalogo e sui periodici (lo stesso effetto produrrà alla Galleria Borghese nel 1928).

Quando apprende della mostra a Jeu de Paume, Proust non esita a raggiungere l’amata Veduta, che in una lettera definisce “il dipinto più bello del mondo”. È malato e stanco, esce di rado. La sua visita alla galleria fa notizia, anche perché si sente male durante il tragitto. Si dice che lo scrittore stesse addirittura tremando davanti al Vermeer. Ma ne è valsa la pena. Marcel sta apportando gli ultimi ritocchi al suo capolavoro e questa esperienza contribuirà ad arricchirne l’universo narrativo.

memorabilia della Exposition hollandaise: un ritaglio da L’Écho de Paris (24 aprile 1921) e il catalogo ufficiale

Bernini, Baldacchino di San Pietro

Proust in visita a Jeu de Paume, Parigi, maggio 1921

La finzione

Il lettore della Recherche si imbatte per la prima volta in Vermeer grazie al personaggio di Swann. Da molti anni, si apprende, questo esteta snob e inconcludente sta lavorando a una monografia sul pittore olandese, destinata a rimanere incompiuta. Così l’irraggiungibile perfezione di Vermeer si erge a simbolo del fallimento esistenziale di Swann.

Ritroviamo il maestro in uno degli episodi più celebri del volume La Prigioniera, pubblicato postumo nel 1923. La visita a Jeu de Paume ha infatti ispirato a Proust la morte dello scrittore Bergotte. Citiamo il passo nella traduzione di Giovanni Raboni:

Morì nelle seguenti circostanze: in seguito a una crisi, abbastanza leggera, di uremia, gli era stato prescritto il riposo. Ma poiché un critico aveva scritto che nella Veduta di Delft di Vermeer (prestata dal museo dell’Aja per una mostra di pittura olandese), quadro ch’egli adorava e credeva di conoscere alla perfezione, un piccolo lembo di muro giallo (di cui non si ricordava) era dipinto così bene da far pensare, se lo si guardava isolatamente, a una preziosa opera d’arte cinese, d’una bellezza che poteva bastare a se stessa, Bergotte mangiò un po’ di patate, uscì di casa e andò alla mostra. Sin dai primi gradini che gli toccò salire, fu colto da vertigini. Passò davanti a parecchi quadri ed ebbe l’impressione dell’aridità e inutilità di una pittura così artificiosa, che non valeva le correnti d’aria e di sole di un palazzo di Venezia o di una semplice casa in riva al mare. Alla fine, fu davanti al Vermeer, che ricordava più smagliante, più diverso da tutto quanto conoscesse, ma nel quale, grazie all’articolo del critico, notò per la prima volta dei piccoli personaggi in blu, e che la sabbia era rosa, e – infine – la preziosa materia del minuscolo lembo di muro giallo. Le vertigini aumentavano; lui non staccava lo sguardo, come un bambino da una farfalla gialla che vorrebbe catturare, dal prezioso piccolo lembo di muro. “È così che avrei dovuto scrivere, pensava. I miei ultimi libri sono troppo secchi, avrei dovuto stendere più strati di colore, rendere la mia frase preziosa in sé, come quel piccolo lembo di muro giallo”. Tuttavia, la gravità delle vertigini non gli sfuggiva. In una celeste bilancia gli appariva, ammucchiata su uno dei due piatti, la sua propria vita, mentre l’altro conteneva il piccolo lembo di muro così ben dipinto in giallo. Sentiva d’aver dato, incautamente, la prima per il secondo. “Non vorrei comunque diventare, si disse, il fatto saliente di questa mostra per i giornali della sera”. Mentre si ripeteva: “Piccolo lembo di muro giallo con tettoia, piccolo lembo di muro giallo”, crollò su un divano circolare; non meno bruscamente smise di pensare che era in gioco la sua vita e, tornando all’ottimismo, rifletté: “È una semplice indigestione, per via di quelle patate non abbastanza cotte; non è niente”. Un nuovo colpo l’abbatté, dal divano rotolò per terra, facendo accorrere tutti i visitatori e i guardiani. Era morto.

Ancora una volta, il confronto con Vermeer è per un personaggio della Recherche epifania del fallimento.

Johannes Vermeer, Veduta di Delft

Johannes Vermeer, Veduta di Delft, 1660-61, Mauritshuis, L’Aja

Man Ray, Marcel Proust sul letto di morte

Man Ray, Marcel Proust sul letto di morte, 1922

Realtà o finzione?

L’attenzione di Bergotte e del narratore si concentra su un “piccolo lembo di muro giallo”. Critici letterari e storici dell’arte hanno tentato di identificare la porzione di dipinto a cui fa riferimento Marcel. Le interpretazioni più convincenti vengono, ad ogni modo, da quanti hanno contestualizzato l’episodio nel progetto complessivo della Recherche. Proust disse spesso di essere privo di fantasia: tutto ciò che ha scritto si ispira a dati reali. Attenzione, però, a non confondere l’opera con l’autobiografia. Allo stesso modo, la descrizione della Veduta di Delft non dovrebbe essere intesa alla stregua di una vera e propria ecfrasi. Osservazione, ricordi e invenzione si fondono in un’immagine puramente mentale di un dipinto esistente.

Proust parte dalla realtà, ma non è uno scrittore realista. Forse proprio per questo amava particolarmente Vermeer, pittore che come pochi ha saputo ammantare di un’atmosfera sospesa le scene di vita quotidiana, facendole sembrare al tempo stesso così vere eppure così… irreali. Due giganti che gareggiano sullo stesso terreno. Quale migliore omaggio?

L’arte imita la vita, la vita imita l’arte: Bergotte vede Vermeer dopo Proust, Proust muore poco dopo Bergotte. Ma anche l’arte imita l’arte e i suoi procedimenti. Difficile eppure possibile: Bergotte ha perso la sfida con Vermeer, Proust l’ha vinta.