Le presentazioni delle borsiste e dei borsisti di Quale Barocco? proseguono con il post di Beatriz Calvo, vincitrice del bando della Fondazione 1563 con un progetto sul VI conte di Monterrey. Beatriz vive e lavora a Madrid: i suoi prossimi post saranno pubblicati in spagnolo

Presentazione della borsista

Beatriz mentre esegue fotogrametria d’un ‘oscilum’ pompeiano

Inevitabile legame con il Barocco di ogni aragonese

Anche se negli ultimi anni la mia carriera accademica sembra essere strettamente legata all’Italia, il mio rapporto con il Barocco ha inizio, come succede a tanti, nella mia città natale, Saragozza. Come molte altre città spagnole e straniere, Saragozza è simboleggiata dalla sua cattedrale, la basilica di Nuestra Señora del Pilar. Questa pietra miliare della architettura aragonese è il punto di partenza per chiunque che, come me, abbia viaggiato o passato l’estate nei villaggi aragonesi, le cui chiese furono rinnovate soprattutto alla fine del XVII secolo e durante il XVIII secolo. Fin dalla mia infanzia, visitavo l’interno delle chiese e l’eventuale convento, decorati in abbondanza con dipinti e sculture espressivi e travolgenti. Ammetto che l’arte sacra barocca mi ha sopraffatto e affascinato in parti uguali; è radicata nella nostra cultura cattolica, che uno sia credente o meno, attraverso un’abbondanza di immagini.

In Spagna, nei primi anni di educazione, quando si comincia appena a conoscere la propria cultura e il proprio patrimonio,  specificamente gli artisti del passato, ci sono sempre quattro pittori che risuonano nella cultura popolare, tre dei quali appartengono al periodo barocco –José de Ribera, Diego Velázquez e Esteban Murillo-, a cui si aggiunge Francisco de Goya y Lucientes. Così, si può dire, i riferimenti pittorici generali di qualsiasi spagnolo, ad eccezione di quelli del XX secolo stesso, passano attraverso di loro.

Come ha scritto Eugenio D’Ors nella sua opera Lo barroco, non si trata solo di un periodo, ma, è qualcosa che trascende il tempo perché è un modo di fare, di intendere e di esprimere. Quando studiavo alla Scuola d’Arte di Saragozza mi resi conto che non disegnavo come il resto dei miei compagni, che si basavano sulla linea; per me era più facile partire dalle ombre da cui emergevano le figure, ed è per questo che, in Storia dell’Arte, ero affascinata dal passaggio dal Rinascimento e Manierismo, al Barocco: la teatralità, le emozioni, la creatività e la sua alta capacità espressiva erano per me uno stimolo e anche una sorpresa.

Mosaico di Issos

Filoxeno de Eretria, Mosaico di Isssos, 325 a.C.    Museo Archeologico Nazionale di Napoli

Antico e moderno

Durante i miei studi di Archeologia dell’Antichità Classica mi sono spesso interessata a opere di grande complessità compositiva e di alto grado di espressione: rilievi di sarcofagi e colonne, alcune sculture e, soprattutto, il mosaico di Alessandro Magno La battaglia di Issus, davanti al quale mi sono chiesta se Velázquez avrebbe mai potuto dipingere qualcosa di simile in La resa di Breda, se invece di raffigurare il momento di pace, avesse deciso di mostrare il fragore della battaglia; se Velázquez non avesse avuto quel gusto per una certa calma, una tranquillità altrettanto travolgente, d’altra parte.

In seguito, ho trascorso due anni in Messico, e qui è diventato evidente come, nel corso degli anni e in luoghi diversi, io abbia sempre la sensazione che il Barocco non cessi di rivendicare la sua egemonia. La sua capacità integrativa è ammirevole; è sempre così facile adattarsi a qualsiasi contesto, che sia una cattedrale mudéjar o un tempio azteco, non importa se è costruito in pietra berroqueña o tezontle, una pietra vulcanica porosa e rossastra.

Álvarez Enciso, copia della Aurora Pallavicini, 1758-1788. RABASF

Arte e tecnologia

Di ritorno in Spagna, lavorando alla Reale Accademia di Belle Arti di San Fernando (RABASF), mi capitava di percorrere le sale del museo ricco di opere di Pedro de Orrente (che fu chiamato “Bassano spagnolo”), José de Ribera, ma anche di Orazio Borgianni –David e Golia– o Bartolomeo Cavarozzi, tra gli altri. Andando al Centro Studi RABASF, ogni giorno fissavo una copia di Domingo Álvarez Enciso dell’Aurora di Guido Reni. Lavorando al progetto coordinato da Itziar Arana Cobos sul Museo de la Trinidad  è emerso l’argomento della mia tesi di dottorato, che è evoluto in La pintura italiana nelle collezioni del VI conde de Monterrey: dispersión y fortuna del siglo XVII al siglo XX, i cui risultati più importanti saranno pubblicati il prossimo anno.

Sono entrata nell’Accademia come specialista in “Nuove tecnologie applicate al patrimonio”, il più delle volte, lo ammetto, all’archeologia. Non capivo perché la Storia dell’Arte non ne facesse un uso maggiore, e il progetto della dott.ssa Arana ha risposto alle mie domande, guidandomi in un percorso che spero sia in qualche modo simile a quello del professor Antonio Almagro Gorbea, che li ha utilizzati con tanta intelligenza. Ne ho infatti fatto uso nella mia tesi e hanno dato, a mio parere, ottimi risultati che spero di ripetere alla Fondazione 1563 con il progetto Quale Barocco? in cui tratterò il tema La fortuna della pittura barocca commissionata dal VI conte di Monterrey, durante il XX secolo.