Nel post di questa settima di Barocca-mente celebreremo la monografia su Diego Velázquez del 1888 scritta da Carl Justi. Sarà questa l’occasione per ricordare la grande stagione della storiografia ottocentesca.
“I suoi libri sono nati alla luce del sole, durante delle mattinate calme”
Negli astri era scritto che la vita di Justi si dovesse svolgere nel segno degli eroi. È nato nell’anno di morte di Goethe, è morto il giorno onomastico di Winckelmann. Se, come dice Nietzsche, chi ha attaccato il suo cuore a un qualsiasi grande uomo, riceve in questo modo la prima consacrazione alla cultura, allora Justi ha ricevuto più consacrazioni di molti altri. Egli scrisse su Winckelmann, Velázquez e Murillo, progettò di scrivere su Tiziano e gli preferì Michelangelo. […] Il suo genere erano le grandi monografie.
Così scrisse dello studioso tedesco il prefatore dell’edizione complessiva delle sue tre opere maggiori, dedicate ognuna a un grande uomo del XVI, XVII e XVIII secolo. Solo quella sul pittore spagnolo è stata tradotta in italiano e pubblicata da Sansoni nel 1958. Essa è esemplificativa di un modo di fare storia (e storia dell’arte) ormai perduto ma che non si può non rimpiangere.
Reinhold Lepsius, Ritratto di Carl Justi
Una stagione da rimpiangere
Peter Paul Rubens, Allegoria di Carlo V, Salisburgo, Residenzgalerie
La sua monografia su Velázquez, infatti, fa pensare a quella che un altro grande studioso tedesco, Karl Brandi (1868-1946) dedicò nel 1935 sempre a uno “spagnolo”, Carlo V. La qualità dei testi di questa straordinaria storiografia di stampo ottocentesco è tale da farci sia assaporare l’intimo animo dei protagonisti, tanto di un pittore quanto di un imperatore, sia affrescare la realtà generale di un’intera epoca.
Un altro loro altissimo merito, inoltre, è di essere testi di godibilissima lettura. Il lavoro minuto e faticoso di scavo delle fonti primarie e secondarie, che rendeva possibile a questi autori enunciare con sicurezza le più generali e audaci considerazioni sulle grandi costanti dell’epoca indagata, è nascosto dietro un velo di apparente facilità. Le note e i rimandi bibliografici sono infatti ridotti al minimo.
Quanto più faticosa è invece la lettura di opere pur capitali di storiografia come quelle dell’École des Annales!
Si può prendere ad esempio Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II di Fernand Braudel, per restare a epoche e contesti storici vicini a quelli indagati da Brandi e Justi. A fronte dei suoi schemi e diagrammi demografici o economici, sta in quegli altri testi il racconto vivissimo di un evento che racchiude ed esemplifica tutta la forza di un secolo.
Grande e piccola storia di Velázquez
Grande e piccola storia, quindi, si fondono continuamente nel Velázquez di Justi. Ora il contesto e lo sfondo in cui si svolgono le vicende descritte assurgono a fatti di grandissimo momento, ora viceversa ciò che dovrebbe essere il centro del racconto viene spiegato dal minimo dettaglio rivelatore. Come esempio del primo procedimento su può citare la descrizione del concorso tra dodici pittori che si tenne nel 1929 a Roma, già narrato da Joachim von Sandrart. Quell’evento, da casuale (e probabilmente neppure reale) occasione in concomitanza con il primo arrivo di Velázquez in città diviene un’epica contesa tra i massimi pittori, dal Cortona, al Reni, a Poussin, capace d’un colpo di far luce su tutta l’arte italiana del Seicento.
Oppure ancora, a Napoli, durante il secondo viaggio di Velázquez in Italia (1649-51), viene descritto il triste destino della figlia di Ribera, insidiata dal gaudente Don Giovanni II d’Austria e costretta a ritirarsi in un convento di Palermo per partorire una figlia. È infinita la malinconia con la quale leggiamo del primo pittore della città, fedele servitore dei re e dei viceré spagnoli, ripagato della così amara e umiliante moneta di vedersi rapita la figlia amata. Anche questo evento, piccolo e personale, solo latamente irrelato alla biografia di Velázquez, è capace di far capire meglio di mille parole quale fosse la condizione dell’artista (e in generale del suddito) nelle società di Antico Regime. Tale condizione toccherà anche al sivigliano di sperimentare, in occasione della vicenda della contestata sua nobilitazione, che rattristerà gli ultimi anni di una lunga vita trascorsa fedelmente e orgogliosamente al servizio del re.
Jusepe Ribera, Immacolata concezione, oggi distrutta, già a Madrid, monastero di Santa Isabela. Si disse che il volto della Vergine fu fatto ridipingere perché troppo rassomigliante a quello della figlia del pittore, Maria Rosa, che aveva fatto da modella. Ciò avrebbe reso pubblicamente evidente la nascita illegittima della “Excelentisima Senora”, nata da Maria Rosa e don Giovanni d’Austria, che cresceva nel monastero delle Descalzas reales di Madrid.
Dal minimo il massimo
Diego Velázquez, Ritratto di Juan de Pareja, New York, MET
Quanto invece Justi sapesse raccontare i momenti più importanti della vita del suo eroe scendendo a un livello di dettaglio minutissimo e feriale, senza però svilire il tono della vicenda anzi illuminandolo dall’interno, lo dimostra il capitolo dedicato al Ritratto di Innocenzo X.
Quella che fu una delle grandi commissioni del pittore è raccontata in ogni particolare. Justi valorizzò le fonti antiche, sia spagnole che italiane, per renderci immediatamente presente Velázquez mentre si “scalda le dita” ritraendo il suo servo Juan de Pareja, prima di accingersi a dipingere il pontefice. Allo stesso modo, quando Justi ci dice delle abitudini atletiche di Innocenzo X, grande camminatore, che gli consentivano di farsi beffe di ogni avvertimento dei medici, ci dice qualcosa del carattere deciso del pontefice. Questo dettaglio aiuta a spiegare l’affascinante contrasto tra la bruttezza del volto e il suo aspetto tuttavia “austero e dignitoso”, perfettamente colto dal magico pennello di Velázquez.
Diego Velázquez, Ritratto di Innocenzo X, Roma, Galleria Doria Pamphili