Questa settimana, per Barocca-mente, Sara Concilio ci parla dei restauri eseguiti a Napoli nel dopoguerra e restituiti in una serie di mostre didattiche a cura della Soprintendenza alle Gallerie della Campania.
Dopo la Seconda guerra mondiale Napoli è una città ferita anche nel cuore del patrimonio culturale, dilaniata dai bombardamenti e irriconoscibile.
Il Cinegiornale Luce aveva cominciato a diffonderne le immagini a guerra in corso. La tradizione della canzone napoletana aveva messo in musica l’angoscia per la città distrutta, legando per sempre l’immagine della lacerata chiesa di Santa Chiara a un sentimento di nostalgia.
Bruno Molajoli, Soprintendente alle Gallerie della Campania, nel 1944 aveva assunto anche la direzione dei primi lavori di restauro di circa cinquanta edifici monumentali di Napoli, collaborando con il corpo militare americano della Commissione alleata per i beni artistici (Monuments and Fine Arts Sub-Commission) dell’Allied Control Commission per l’Italia, e aveva descritto i danni causati dall’occupazione nazista e dai bombardamenti degli alleati, come ripercorre una recente mostra a Palazzo Reale.
Accanto alla cura del patrimonio monumentale e parallelamente all’attività di riorganizzazione e riallestimento delle collezioni, a partire dagli anni Cinquanta comincia anche un programma di ricognizioni e restauri che eredita la breve esperienza dell’Istituto di Pinacologia e Restauro della Reale Pinacoteca di Napoli (1932-1939) voluto da Sergio Ortolani su modello delle ricerche europee più aggiornate.
Napoli, Regia Pinacoteca, Gabinetto di Pinacologia, sala di fotografia e proiezione, 1937
Su quell’esempio, con interazioni tra arte e scienza, il nuovo Laboratorio per la conservazione è chiamato a svolgere «con mezzi di fortuna», dalla fine del 1945, gli interventi per porre riparo ai danni del conflitto e il recupero «dell’abbandono secolare» che aveva gravato sul patrimonio artistico del Mezzogiorno. La responsabilità di coordinamento è affidata a Raffaello Causa, la sezione chimico-fisica a Selim Augusti e il gabinetto fotografico a Ezio Parente.
Il loro impegno è restituito in una serie di mostre di opere selezionate, a partire dal 1951 fino al 1960, finalizzate a far scoprire e riscoprire al pubblico il patrimonio territoriale da tempo sofferente.
Gli intenti sono resi espliciti dallo stesso Causa:
Dare la massima divulgazione alle più recenti pratiche di conservazione, generare una coscienza comune di quanto possa oggi la tecnica del restauro, offrire in ampia esemplificazione una casistica dettagliata dei lavori, significa concorre anche indirettamente a salvare un certo numero di opere d’arte destinate all’abbandono ed alla distruzione per il cattivo stato, o – ed è peggio – per le cure empiriche di restauratori occasionali.
Catalogo della Prima mostra didattica del restauro, Napoli, Museo di San Martino, 1952
Invito alla IV Mostra di Restauri, Napoli, Palazzo Reale, 1960
Le mostre vengono allestite nel Museo di San Martino a cadenza annuale, con l’impegnativo proposito di offrire al pubblico aggiornamenti costanti sull’attività del Laboratorio. Dopo tre anni, tuttavia, si registra una pausa fino alla quarta mostra, inaugurata a Palazzo Reale nel 1960, che diviene però occasione per ripercorrere l’esperienza del gruppo di lavoro di Molajoli e Causa.
Nel frattempo, nel 1957, il trasferimento della Pinacoteca nella Reggia di Capodimonte aveva dato nuova linfa all’attività di restauro, con un più moderno e organizzato Laboratorio per la conservazione, nel nuovo catalogo presentato anche attraverso i contributi e le ricerche della Sezione fisico-chimica.
IV Mostra di Restauri, Napoli, Palazzo Reale, 1960
Quali le opere del Seicento e del Settecento esposte?
La prima mostra, quella del 1951-1952, restituisce il prodigioso recupero di due tele di Jusepe de Ribera detto lo Spagnoletto (1591-1652) provenienti dalla cappella di Sant’Ignazio della Chiesa del Gesù Nuovo: la Gloria di Sant’Ignazio e Paolo III approva la regola (1641-1643), già compromesse da un terremoto del 1688 e ridotte a brandelli da un bombardamento dell’agosto 1943 che portò alla distruzione completa di una terza opera dell’artista.
Fasi di ricostruzione del dipinto di Ribera dalla Chiesa del Gesù Nuovo, 1951
Le foto, che mostrano il difficile intervento, accompagnano una minuziosa descrizione delle fasi di lavoro sulle due tele, di particolare interesse perché tra le opere più antiche eseguite da Ribera durante il suo soggiorno napoletano, fondamentali per lo studio dell’artista nei suoi rapporti con la pittura napoletana del Seicento: lo spolvero, il fissaggio del colore, l’individuazione dei frammenti, la ricomposizione, l’integrazione delle lacune.
Anche l’anno successivo è messo in mostra un intervento su un’opera temporaneamente riferita a Ribera: è il Gesù tra i dottori della collegiata di San Michele di Solofra (AV). Tradizionalmente attribuita a Francesco Guarino (1611-1651), come l’intero ciclo solofrano, era allora stata spostata sotto il nome dello Spagnoletto seguendo un parere di Roberto Longhi.
L’assegnazione venne rapidamente corretta nel catalogo del 1960, con la presentazione del restauro (avvenuto tra il 1954 e il 1955) di altre due tele della Collegiata, l’Annuncio ai Pastori e l’Annunciazione. Gli anni intercorsi tra un intervento e l’altro erano serviti a ragionare nuovamente su Guarino, mentre l’attacco dei roditori a un vecchio collante aveva reso necessaria un’integrazione pittorica «a tutto effetto».
Battistello Caracciolo, Francesco Fracanzano, Pacecco De Rosa, Bernardo Cavallino, Giuseppe Ruoppolo, Domenico Antonio Vaccaro sono alcuni dei tanti artisti presentati in questi cataloghi di restauro.
Francesco Guarino, Annunciazione, Collegiata di Solafra (AV), 1642
Su questi pittori, in quegli anni, lavorando a scopo conservativo, si arricchì il dibattito scientifico e attribuzionistico.
Napoli, Chiesa di Santa Maria in Monte Vergine, 1953-1955. Due momenti delle operazioni di foderatura della tela di Andrea Domenico Vaccaro, Madonna col Bambino in Gloria con san Guglielmo, san Bernardo e altri santi