Con il post di Barocca-mente di questa settimana, a cura di Sara Concilio e Bruno Carabellese, parliamo dell’importanza della rivista “Paragone” per la riscoperta dell’arte barocca e della sua vitalità ancora fortissima, come dimostrano le ultimissime ricerche che continua a pubblicare.


All’esatta metà del Novecento una neonata rivista si fece catalizzatrice degli studi di storia dell’arte, con particolare attenzione al Seicento, raccogliendo le novità della prima metà del secolo e innervando le ricerche successive. 

Fondata da Roberto Longhi e Anna Banti a Firenze nel 1950, “Paragone” presentava alternativamente un numero di letteratura e uno di arte figurativa, spaziando, per quest’ultima, dalla pittura italiana del Trecento all’arte contemporanea e intervenendo su problemi di conservazione e mostre. 

Il primo numero si aprì con il manifesto metodologico di Longhi, le Proposte per una critica d’arte, in cui venne affermata la necessità di mantenere interconnessi il dato storico e quello critico. Escludendo dalla storia dell’arte ogni ambizione filosofica che arrivasse all’isolamento del “capolavoro assoluto”, le Proposte si spingevano fino all’equiparazione della critica al romanzo.

“Paragone. Arte”, I, gennaio 1950

Roberto Longhi, Il Caravaggio, Aldo Martello Editore, 1952

Il testo venne scritto nella fase di preparazione della Mostra del Caravaggio e dei caravaggeschi a Palazzo Reale di Milano del 1951, punto di arrivo di ricerche durate quarant’anni, poi confluite nella monografia Il Caravaggio (1952), successivamente ripubblicata e accresciuta. 

L’opera non sta mai da sola, è sempre un rapporto. Per cominciare: almeno un rapporto con un’altra opera d’arte. Un’opera sola al mondo non sarebbe neppure intesa come produzione umana, ma guardata con reverenza o con orrore, come magia, come tabù, come opera di Dio o dello stregone; non dell’uomo. È dunque il senso dell’apertura di rapporto che dà necessità alla risposta critica. Risposta che non involge soltanto il nesso tra opera e opere, ma tra opera e mondo, socialità, economia, religione, politica e quant’altro occorra.

Non meno significativo, nel primo numero della rivista, fu il secondo saggio, scritto da Giuliano Briganti, Barocco, strana parola, in cui l’allievo di Longhi attaccava il concetto di età barocca emerso da settanta anni di storiografia ufficiale.

Una vicenda storica fin qui così mal definita, che talora se ne fissa l’inizio al 1630, talora al 1580, qualche volta persino al 1520. Senza dire che, nella sua interminabile edizione tedesca, tale vicenda va divisa solitamente in tre atti, ‘barocco severo’, ‘barocco maturo’ e  ‘tardo barocco’, restandosi ancora in debito di una valida dimostrazione che, con elementi concreti, ci dia ragione del passaggio concreto da un atto all’altro, cioè a dire dell’unità spirituale del dramma che giustifichi la denominazione comune.

Nel numero successivo, con Barock in uniform, Briganti tornò sul tema del barocco nella sua uniforme accademica:

esiste realmente un ‘sentimento fondamentale’ o, come si è detto, un ‘senso vitale dell’epoca’ che riempia esclusivamente di sé quel secolo e mezzo di vita? Io non lo vedo. La distanza incolmabile che divide pensatori da pensatori, artisti da artisti che vissero entro i limiti di quelle precise frontiere cronologiche, la stellare distanza di mondi che separa un Galileo da un Tesauro, un Campanella da un Marino, un Caravaggio da un Pietro da Cortona sta piuttosto a dimostrare il contrario. Distinguere, allora, e ancora distinguere.

Accanto a loro, numerosi altri studiosi arricchirono il dibattito sull’arte del Seicento, con contributi su artisti poco affrontati, attribuzioni, aggiunte e opere inedite ritrovate, appunti e riproposte di brani rari nell’antologia della critica e dalla letteratura artistica.

Paese che vai, arte che trovi

Come noto, Longhi aveva contribuito alla riscoperta del Seicento già dal secondo decennio del secolo. Sulle pagine di “Paragone” questa operazione raggiunse nuovi livelli di maturità, potendo giovarsi dell’apporto di studiosi più giovani riuniti ormai in una ben definita ‘scuola longhiana’. E la riscoperta del Seicento passò anche, come era inevitabile in un paese eterogeneo e articolato come l’Italia, per l’approfondimento delle tradizioni artistiche regionali. Per esempio, il Seicento fiorentino fu fatto riemergere, praticamente dal nulla, nei numeri delle prime quindici annate di “Paragone”.

Un primo sunto di questa intensa attività di ricerca sull’arte del XVII secolo a Firenze, cui Longhi in realtà contribuì direttamente solo in misura molto limitata, si ebbe nel 1964, in un lungo articolo di sintesi firmato da Mina Gregori. Fu lei, insieme forse a Carlo Del Bravo, la principale specialista dell’arte di quel periodo a scrivere su “Paragone”. Nel suo saggio intitolato Arte fiorentina tra ‘maniera’ e ‘barocco’, Gregori faceva un bilancio di quanto pubblicato sulla rivista nei quindici anni precedenti. Sfogliando gli indici, notiamo nomi importanti come quello del sopra menzionato Briganti, di Federico Zeri, Fiorella Sricchia Santoro, oltre al già citato Del Bravo. Questi studiosi avevano dedicato uno o più articoli per pubblicare inediti di artisti come Jacopo Vignali o Francesco Furini, per correggere attribuzioni, e insomma per dissodare un terreno figurativo che appariva sempre più vasto e tutto da esplorare. 

Negli anni immediatamente successivi a questa prima fase di riscoperta critica, e come sua conseguenza, cominciò a svilupparsi anche un gusto collezionistico per le opere dei pittori seicenteschi fiorentini. Il più appassionato e consapevole tra gli amanti di quella scuola fu il poeta e studioso Piero Bigongiari. A partire dagli anni Sessanta egli si rifornì regolarmente da antiquari attivi nel capoluogo toscano, come Enrico Frascione o Fabrizio Mazzoni. Sapeva allo stesso tempo tenere sempre d’occhio le ricerche degli studiosi, per seguire (o proporre) le attribuzioni più aggiornate degli stessi dipinti che acquistava. Così facendo, accumulò quella che è senza dubbio la più pregevole collezione di quadri del Seicento fiorentino tuttora esistente, conservata nelle sale del museo dell’Antico Palazzo dei Vescovi a Pistoia.

Felice Ficherelli, Giulia riceve la veste insanguinata di Pompeo, collezione Bigongiari, Pistoia, Museo di Palazzo dei Vescovi

Aggiunte al Seicento napoletano

A Caravaggio e ai caravaggeschi furono dedicati numerosi saggi che permisero di discutere e allargare il catalogo dell’artista e della sua cerchia. Per gli artisti napoletani, d’esempio è ciò che avvenne intorno a Battistello Caracciolo.

Nel 1915, in un lungo saggio apparso in “L’Arte”, Roberto Longhi aveva riletto quanto raccontato da Bernardo De Dominici, consacrando il “pittore che a Napoli tenne fede al Caravaggio più che qualsiasi caravaggesco d’Italia”, ma che “prosegue da Caravaggio e sviluppa con potenza sovrana il senso della plasticità brunita e quasi monocroma delle masse costrutte totalmente al dalla luce… Volgendosi presto a sviluppare un tale ardore per la rotondità astratta delle cose, da crearsi uno stile… uno strano e potente sferismo astratto”. Di seguito, Hermann Voss prima e Sergio Ortolani poi avevano accresciuto il corpus di dipinti degli anni pre-caravaggeschi dell’artista. Ma il silenzio su Battistello rimase assordante fino agli anni Cinquanta, quando sul primo numero di “Paragone” Raffaello Causa, rivelando diversi inediti dell’artista, scrisse:

Battistello Caracciolo, Due giovani con l’uva, 1605-1610, olio su tavola di pioppo, attribuito all’artista da Raffaello Causa nel 1950, ora Adelaide, Art Gallery of South Australia

È certo sintomatico, a riprova di un costume di indolente quietismo della cultura del nostro tempo, che al saggio di Longhi su «L’Arte» del ’15, rivelante la figura di Battistello Caracciolo non siano seguiti altri contributi critici, ove si eccettuino schematiche notazioni di inediti, e che neppure sia stata avvertita l’esigenza di pubblicare più ampia raccolta di opere o quanto meno più vasta esemplificazione dei cicli di affreschi, finora solo menzionati, e che in dolorosa dimenticanza vanno perdendosi, per le offese del tempo e il disamore degli uomini sulle mura pericolanti della Napoli sacra.

La rivista diventava così lo spazio ideale per le “giunte a Battistello”, con apporti di Causa, Mina Gregori, Ferdinando Bologna e dello stesso Longhi, chiarendo gli anni centrali dell’attività del pittore. Ad altri artisti attivi a Napoli al tempo – Aniello Falcone, Monsù Desiderio, Filippo Napoletano, Gaspare Traversi – furono dedicati saggi attributivi e ricostruttivi. 

“Paragone” oggi non smette di stupire. Presto le sue pagine ospiteranno importanti precisazioni sull’attività di Caravaggio a Napoli grazie a un significativo ritrovamento a cura del nostro collega Vincenzo Sorrentino