Barocca-mente questa settimana si apre alla scultura con un post dedicato alla vicenda critica novecentesca di Alessandro Algardi, artista bolognese attivo a Roma negli anni in cui l’Urbe era dominata da Gian Lorenzo Bernini.
“Hero of the art of sculpture”: Algardi vs Bernini
Nella Roma di Bernini non c’è spazio per nessuno. Questo è quello che a distanza di secoli siamo soliti pensare, un’opinione certamente condivisa da coloro che nel Seicento assistettero alla progressiva ascesa di Bernini e alla sua egemonia del mercato artistico. Che lo si ami o lo si odi, il suo nome è quello della scultura barocca per antonomasia.
Tuttavia, a partire dal Seicento, una delle più importanti voci critiche del tempo, Giovan Pietro Bellori (1613-1696), elesse quale campione della scultura Alessandro Algardi (1695-1654). Come ha ben spiegato Jennifer Montagu, autrice della celebre monografia edita nel 1985 su cui torneremo a breve, Bellori, arrivando a parlare della scultura, dovette trovarsi in difficoltà. Le sue Vite, edite nel 1672, necessitavano di un eroe della scultura, che potesse essere assimilabile al ruolo conferito ad Annibale Carracci nel campo della pittura, ossia essere il promotore della rinascita dell’arte dopo un lungo periodo di decadenza.
Anche se al tempo di Bellori le etichette di ‘Classicismo’ e di ‘Barocco’ non esistevano ancora, egli fu sostenitore di uno stile composto ed equilibrato, che nella sua visione era rappresentato da Algardi e che si opponeva al gusto scenografico ed estroso di Bernini e Pietro da Cortona, implicitamente condannati dall’assenza delle loro biografie nell’opera belloriana.
Incisione con il ritratto di Alessandro Algardi
Il classicismo del Barocco
Alessandro Algardi, Tre santi martiri, Roma, Santi Luca e Martina
Alessandro Algardi, medaglione bronzeo con la Decollazione di San Paolo, Bologna, San Paolo Maggiore, paliotto dell’altare maggiore
In uno dei testi fondativi del Barocco, Art and Architecture in Italy 1600-1750, pubblicato nel 1958, Rudolph Wittkower (1901-1971), nella sezione centrale del libro, dopo avere trattato i tre grandi protagonisti di questa stagione – ossia Bernini, Borromini e Pietro da Cortona – introduceva il capitolo Il classicismo del Barocco, i cui rappresentanti sono Algardi, Andrea Sacchi (1599-1661) e François Duquesnoy (1597-1643).
L’attività di questi maestri mostrava come l’autorità dei grandi protagonisti (Bernini, Borromini e Cortona) non fosse rimasta senza contestazione. Pittori come Nicolas Poussin e Andrea Sacchi e scultori quali François Duquesnoy e il nostro Algardi proponevano infatti in risposta un classicismo differente da quello della prima ora incarnato da Annibale Carracci e Domenichino, un classicismo più
impetuoso e pittoresco […] che a buon diritto può essere denominato il classicismo barocco.
L’impatto del libro di Wittkower si registrò sul fronte italiano con l’ingresso della scultura nella mostra dedicata a L’Ideale classico del Seicento in Italia e la pittura di paesaggio organizzata a Bologna nel 1962. Scopo dell’esposizione era quello di far conoscere i pittori bolognesi (ma anche francesi) che proponevano un ideale classico, in opposizione, secondo la visione proposta da Bellori, alla decadenza del Manierismo, all’eccessivo naturalismo dei caravaggeschi e alle esagerazioni barocche.
Con l’occasione, pur con pochi pezzi, la scultura faceva finalmente la sua comparsa nella serie di Biennali bolognesi, rappresentata proprio, sulla scia belloriana, da Duquesnoy e Algardi.
Bolognese di nascita, frequentatore estremo dell’accademia di Ludovico Carracci attorno al 1617, passato poi presso il mediocre scultore felsineo Giulio Cesare Conventi, Algardi diveniva ancora una volta una figura strumentale all’opposizione a Bernini e al Barocco. Nel catalogo della mostra la sua produzione era rappresentata da una testa bronzea di san Filippo Neri della Galleria Nazionale di Arte Antica, dalla terracotta con i Tre santi martiri della chiesa romana dei Santi Luca e Martina, inclusa nel catalogo ma mai arrivata in mostra (e sostituita da una Testa femminile ritenuta di mano dello scultore proveniente dal palazzo Schifanoia di Ferrara). Cruciale importanza era rivestita dal gruppo marmoreo con la Decollazione di San Paolo lasciato al suo posto sull’altare maggiore della chiesa bolognese dedicata all’omonimo santo e il relativo tondo in bronzo del paliotto, che invece figurava in mostra.
La lettura offerta in catalogo da Amalia Mezzetti proponeva tuttavia uno scultore tutto orientato nel confronto con la pittura cinque e seicentesca piuttosto che con la scultura, rifuggendo laddove possibile le sue connessioni con l’estetica barocca.
Alessandro Algardi di Jennifer Montagu
Fu solo nel 1985 che vide la luce la monografia in due volumi di Jennifer Montagu dedicata ad Algardi e pubblicata per i tipi della Yale University Press. Dopo anni di frequentazione del Warburg Institute di Londra, la studiosa era diventata nel 1971 curatrice della fototeca di quell’istituto, ma già a partire dal 1963 si era distinta per un agile quanto significativo libro dal titolo Bronzes. Proprio l’esplorazione di un campo di studio negletto come quello dei bronzetti barocchi condusse Montagu a intendere e leggere sotto una nuova lente la complessa personalità di Algardi.
Se l’origine bolognese dello scultore giocò senza dubbio un ruolo importante nella sua affermazione a Roma, per il sostegno di mecenati legati alla città felsinea e per i numerosi compatrioti impegnati sulla scena romana – primo fra tutti Domenichino -, la sua attività fu riletta da Montagu con un metodo di ferro basato su una meticolosa ricerca documentaria, l’acribia nella lettura delle fonti, una fine analisi stilistica e del contesto. Questo le permise di dimostrare che lo stile di Algardi non poteva essere ridotto a semplici etichette create a posteriori dalla critica, ma che variava a seconda del materiale utilizzato, delle dimensioni, della destinazione e dalla tecnica. Ne è un esempio proprio la lettura del gruppo marmoreo della Decollazione di San Paolo preso ad esempio nella mostra dell’Ideale classico, che Montagu svincolava con ragionevoli osservazioni dal riferimento visivo a un quadro con il Martirio di San Longino di Andrea Sacchi, proposto molti anni prima da Hans Posse e tradizionalmente accettato:
his avoidance of any overt drama builds up a powerful tension, as we wait, breath held, for what we know must follow. The imagined, anticipated action is more vivid than its realization. Set beside this balance of contradictions, the Sacchi appears blatant and banal […]. It is the sword, the spada, which plays the crucial role in Algardi’s group: scarcely visible behind the executioner, it is this which will unite the two disparate figures, release the tension, and complete the story
E così la studiosa rivedeva anche l’interpretazione del relativo medaglione bronzeo presente alla mostra del 1962, che non ha la stessa monumentalità delle statue e fu eseguito a quindici anni di distanza con una vena più lirica e vivace.
Montagu ritornava alla lettura dell’opera d’arte libera dalle più forzate categorie e offriva un contraltare alla figura di Bernini, una nuova immagine dello scultore barocco, la cui lettura finalmente ristabilita nella sua corretta prospettiva ha infatti aperto una nuova strada allo studio della scultura del Sei e del Settecento. Un pieno riconoscimento attestato dalla mostra curata al Palazzo delle Esposizioni di Roma dalla stessa Montagu nel 1999, ma anche da un importante convegno dedicato a Gli allievi di Algardi, i cui atti sono stati pubblicati nel 2019 e dal fiorire di molte ricerche attualmente in corso.
Alessandro Algardi, Decollazione di San Paolo, Bologna, San Paolo Maggiore