Con il nuovo post di Barocca-mente ci spostiamo in Piemonte per ripercorrere la fortuna novecentesca, e interconnessa tra discipline, di uno dei più grandi autori di metafore del barocco: Emanuele Tesauro.


Dalla riscoperta come autore barocco di acutezze e ingegni avviata da Benedetto Croce all’inizio del Novecento, Emanuele Tesauro (1592-1675) – gesuita, cortigiano, iconografo, retore e drammaturgo – è stato approfondito nella sua attività letteraria e filosofica e nella capacità di visualizzazione delle metafore, dunque nel rapporto tra poesia e pittura, da specialisti di diverse discipline.

Charles Dauphin, Ritratto di Emanuele Tesauro, olio su tela, 1670 c., Torino, Musei Reali, Galleria Sabauda

La vasta produzione di Tesauro attraversò opere religiose, storiografiche, teatrali, trattatistica, retorica, cronache e panegirici.

Fu autore dei celebri trattati Il cannocchiale aristotelico (1654) e La Filosofia morale (1670), di opere storiografiche come Del regno d’Italia sotto i Barbari (1663) e Historia della città di Torino (1679) e di tragedie di ispirazione classica.

Le relazioni coi testi classici, sacri e patristici, il dramma teatrale, la filosofia di Aristotele costituirono un impianto su cui la prolifica attività di Tesauro si mosse generando complesse stratificazioni di invenzione e celebrazione, in un’articolata varietà di generi, che dalla narrazione storica e simbolica passò per i manuali normativi per futuri predicatori e arrivò all’allestimento cerimoniale.

Gli studi di letteratura e filosofia che lo hanno analizzato trovano un punto nodale nelle Anatomie secentesche di Ezio Raimondi (1966), per cui Emanuele Tesauro apre il corso di una «nuova astronomia poetica», che «ratifica l’idea di una letteratura che considerò il mondo e il passato come inventario di formule, come un museo di materie preziose e di motivi analogici, come un gabinetto di meraviglie aperto alle esplorazioni e alle metamorfosi ottiche dell’ingegno».

A Maria Luisa Doglio (1975) si deve poi il ritrovamento dell’Idea delle perfette imprese (1622-1629), testo giovanile in cui l’iconologo – autore e interprete di simboli e figure allegoriche – già guidava nel persuadere con parole-immagini.

George Tasnière su disegno di Domenico Piola, La Poesia e la Pittura aiutate da Aristotele, antiporta per Emanuele Tesauro, Il cannocchiale aristotelico, Torino, 1670

L’analisi del dettato di Tesauro per le imprese decorative nelle dimore sabaude è favorito dall’imponente pubblicazione delle Schede Vesme (1963-1982): un monumentale lavoro, in quattro volumi, di reperimento e catalogazione di notizie e documenti sulla storia delle arti in Piemonte, punto di partenza per i successivi studi e per le azioni di tutela del patrimonio figurativo e architettonico locale.

Tra le fonti fondamentali per tale schedatura troviamo le Inscriptiones (1666) di Tesauro, in cui descrisse in latino il progetto iconografico delle residenze reali dei Savoia – il Palazzo Reale e il Palazzo di Città di Torino, la Reggia di Venaria e la Reggia estiva di Rivoli –, dove i penneli di Jan Miel e Charles Dauphin, tra gli altri, avevano attualizzato il mito per esaltare la casa reale.

Jan Miel, Delle cacce ti dono il sommo impero, affresco, Venaria Reale, Volta della Sala di Diana, 1661-1663

Barocco piemontese in mostra (1963 e 1989)

Nel 1963 la Mostra del Barocco piemontese ripercorre il ruolo di primo piano di Tesauro nel programma ducale di trasformazione di Torino in una capitale a livello europeo.

Allestita nella Palazzina di caccia di Stupinigi, Palazzo Madama e Palazzo Reale, la mostra offre la più aderente rappresentazione della traccia «retorica e decorante» di Tesauro, con le tele di Miel e Dauphin, e dei Recchi, i Dufour, Damaret, Prelasca e Caravoglia, tra i fregi intagliati dai Botto e Quirico Castelli.

L’apparato decorativo è ricostruito filologicamente nel catalogo a cura di Vittorio Viale e Andreina Griseri, la quale, ne Le metamorfosi del barocco (1967), legge le cadenze narrative delle decorazioni con la retorica del barocco: un ritmo moderno, intessuto di pittoresco, legato strettamente alle iconografie naturali.

Mostra del Barocco piemontese, Palazzo Madama, Palazzo Reale, Palazzina di Stupinigi, 1963, catalogo a cura di Vittorio Viale

Jan Miel, Trionfo della Pace, olio su tela, 1660, Torino, Palazzo Reale, Appartamento del Duca, Camera di Parata

Diana trionfatrice. Arte di corte nel Piemonte del Seicento, Torino, Promotrice delle Belle Arti, 1989, catalogo a cura di Michela di Macco e Giovanni Romano

Negli anni Ottanta il volume Figure del barocco in Piemonte. La corte, la città, i cantieri, le province (a cura di Giovanni Romano, 1988) intreccia saggi di storici dell’arte, storici e archivisti, nel tentativo di restituire la complessità della storia figurativa e politica del territorio.

Poco dopo, la mostra Diana trionfatrice. Arte di corte nel Piemonte del Seicento (a cura di Michela di Macco e Giovanni Romano, 1989) rilancia le residenze di corte in Piemonte sul filo dei rapporti tra le arti.

A Tesauro è dedicato largo spazio nelle sezioni relative alle decorazioni dei palazzi con i soggetti pittorici del mito di Diana, ma anche nei testi che ricreavano l’immagine della corte, scandagliando la fortuna editoriale di alcuni volumi, più volte ristampati e tradotti, accompagnati da pregiate incisioni.

George Tasnière su disegno di Domenico Piola, La Storia, sotto dettatura di Mercurio, incide una lapide, antiporta per Emanuele Tesauro, Inscriptiones, Torino, 1670

Tesauro è entrato anche nel romanzo moderno grazie a Umberto Eco. Nell’Isola del giorno prima (1994), nel capitolo intitolato Il Cannocchiale Aristotelico, un personaggio chiamato padre Emanuele produce infinite catene di metafore per meravigliare il lettore. Del resto, già per la voce Metafora dell’Enciclopedia Einaudi (1980), Eco avevo accordato a Tesauro un ruolo di primo piano nel linguaggio seicentesco elaborato e mirabolante.

La connessione tra discipline ha caratterizzato il convegno di un anno fa, Stupire il mondo. Tesauro e le arti, nella cornice della reggia di Venaria: una riflessione sulle molteplici sperimentazioni delle possibilità metaforiche offerte con le sue «immagini ingrandite».