Nel post di Barocca-mente di questa settimana leggeremo della fortuna e della sfortuna di Carlo Dolci, un pittore apparentemente lontano dall’idea comune di Barocco ma che ha saputo muovere gli animi più di molti suoi blasonati colleghi.
“For it is a miracle and masterpiece of absurdity, and almost equally a miracle of pictorial art”
Carlo Dolci, Dio padre, Firenze, Galleria Palatina
Con le parole citate sopra, lo scrittore statunitense Nathalien Hawthorne definì nel suo diario di viaggio il Dio padre dipinto da Carlo Dolci, dopo averlo notato durante una visita a Palazzo Pitti nel 1858. Forse nessuna frase meglio di questa testimonia l’interesse che l’opera del pittore fiorentino seppe suscitare presso uomini di cultura di varie epoche e provenienze e allo stesso tempo l’ambiguità con la quale essa fu accolta.
Dai brani che passeremo in rassegna, risulterà chiaro quanto l’apprezzamento (o il biasimo) del Dolci fosse di solito legato ai moti interiori che le sue opere suscitavano nello spettatore. Pur nelle loro ridotte dimensioni (di solito tele con figure di Madonne o Maddalene a mezzo busto), esse infatti scatenavano reazioni sentimentali che andavano dalla più nauseata repulsione all’estatica ammirazione. Per la forza emotiva, silente e tutta spirituale, con cui quelle immagini hanno mosso l’animo degli uomini, al piccolo “Carlino” deve essere riconosciuto un posto tra ben più roboanti interpreti del Barocco.
Un ammiratore presidenziale…
Thomas Jefferson, il futuro terzo presidente degli Stati Uniti d’America, visitò vari paesi europei (tra cui l’Italia) mentre era ancora ambasciatore in Francia, attratto dalle bellezze dell’architettura e dell’arte del Vecchio Continente.
A Düsseldorf, presso la Galleria dell’Elettore Palatino, vide delle opere di Adriaen van der Werff e di Carlo Dolci, del quale divenne subito un fervente ammiratore.
Scrisse infatti a Maria Cosway, pittrice italo-inglese di cui era innamorato:
Carlo Dolce became also a violent favorite. I am so little of a connoisseur that I preferred the works of these two authors to the old faded things of Rubens.
Colpisce l’idea, appena accennata da Jefferson ma significativa, che le opere di Dolci possano piacere più a un amatore dilettante come lui, facendo presa sul suo cuore, che a un dotto connoisseur.
Carlo Dolci, La Maddalena penitente, Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, preveniente dalla Galleria dell’Elettore Palatino di Dusseldorf
Caricatura di John Ruskin, Vanity Fair, 17 febbraio 1872
… e un critico detrattore
Questo tema riemerge anche da quanto John Ruskin scrisse del fiorentino nel suo testo più importante, Modern painters, pubblicato a partire dal 1843:
Three penstrokes of Raffaelle are a greater and better picture than the most finished work that ever Carlo Dolci polished into inanity […] the instant that the increasing refinement or finish of the picture begins to be paid for by the loss of the faintest shadow of an idea, that instant all refinement or finish is an excrescence and a deformity.
Parole dure con la quale il critico inglese accusava Dolci di aver sacrificato ogni valore ideale della sua arte sull’altare della perfezione formale, dell’estrema finitezza della superficie pittorica. Le sue sarebbero opere superficiali, che attraggono i sensi degli ingenui, ma respingono (o dovrebbero respingere) le menti dei sapienti.
Del resto, non potevamo aspettarci altro giudizio da colui che più alacremente sostenne la pittura di William Turner, che nella sua assoluta libertà di tocco si colloca agli antipodi della pennellata misurata ed esatta come la preghiera che si dice il fiorentino recitasse mentre dipingeva.
Baroque versus Primitives
Sempre all’influenza di Ruskin, e della moda dei Primitivi che egli contribuì ad originare a partire dalla seconda metà del XIX secolo, si deve un ulteriore giudizio negativo su Dolci. Questo si legge in una novella di Edith Wharton, scrittrice americana nota per il romanzo L’età dell’innocenza ma anche per uno dei più bei libri sulle ville storiche d’Italia e sui loro meravigliosi (e purtroppo in gran parte perduti) giardini.
Vicina al gruppo di studiosi e collezionisti statunitensi che avevano in Bernard Berenson il loro mentore, condivideva con loro la passione per i fondi oro e per un’immagine idillica dell’Italia, coltivata alle pendici delle colline fiesolane. Uno dei personaggi della sua novella False Dawn, Lewis Reycie, è costruito proprio sulla reale figura di uno di questi connoisseur innamorati del Medioevo italiano: James Jackson Jarves.
Il personaggio di Reycie serve per opposizione a mettere in ridicolo i gusti ormai demodé del tipico gentiluomo americano, “rapt before a Sassoferrato or a Carlo Dolce”. Reycie visitava invece i piccoli paesi italiani a caccia di “one of those unknown trasures lurked nearby under dust and cobwebs”, come per esempio una tavola del quattrocentesco Apollonio di Giovanni, un tempo noto proprio col nome di “Master of the Jarves Cassone” in onore del suo scopritore.
È da sottolineare che Dolci, insieme a Sassoferrato al quale è spesso paragonato, sembra qui essere una cartina di tornasole della ricezione dell’arte barocca della pittura barocca, caduta in tanto discredito nei decenni a cavallo tra XIX e XX secolo. Egli è accusato dello stesso ipocrita sentimentalismo che i critici, spesso di cultura protestante, denunciano nelle opere degli artisti barocchi e alla quale oppongono l’ingenua sincerità dei Primitivi.
Apollonio di Giovanni di Tomaso, Cassone dipinto con la Conquista di Trebisonda, New York, The Metropolitan Museum of Art
La ripresa di interesse e di studi sul Seicento, avviata già all’inizio dello scorso secolo, riuscì faticosamente a riscattare l’arte del periodo barocco da queste censure ideologiche. Per la prima importante monografia sul pittore, a firma di Francesca Baldassarri, bisognerà però aspettare addirittura fino al 1995, in ritardo pure rispetto ad altri protagonisti del già non troppo fortunato Seicento fiorentino. Grazie al lavoro suo e di altri studiosi, possiamo finalmente apprezzare con equidistanza le qualità di un grande artista che tante contrastante reazioni ha saputo suscitare.